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 |  | LE NOSTRE STORIE, I 
PENSIERI, LE POESIE... VERRANNO PERIODICAMENTE INTEGRATE O SOSTITUITE 
  
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    LA VECCHINA DEL PRESEPIO (Gianni Rodari) La vecchina abitava da 
    anni (duecento? trecento?) sulla montagna più alta del presepio. Il presepio 
    era quello che sta a Roma, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tra 
    le rovine dei Fori Imperiali ed è uno dei più belli del mondo, con montagne, 
    burroni, castelli, villaggi, palazzi, ponti, ovili, osterie, negozi, e 
    migliaia di finestre aperte e dentro si vede la gente vivere. Ma la gente 
    vive per lo più nelle strade, come a Napoli: centinaia e centinaia di 
    figurine che vivono, comprano e vendono pesci, prosciutti, fichi secchi, 
    castagne, caciotte. E scale, scalette, scalinatelle: tutto un labirinto 
    festoso su cui scendono gli angeli a grappoli dal soffitto, e un lungo 
    corteo di mori, cammelli, cavalli accompagna i Re Magi, e bambini accorrono 
    incuriositi, ragazze ballano la tarantella per far onore agli ospiti, si 
    mesce il vino, si drizzano tende ricche come regge. Sulla collina più alta, 
    nella casa più povera del villaggio, abitava la vecchina, e anche lei, la 
    notte di Natale, si annodò in testa il fazzoletto più bello, preparò un 
    fagottello di pomodori seccati al sole da portare in dono, e si incamminò a 
    piccoli vecchi passi giù per un sentiero ripido, rotto ogni tanto da un 
    mazzetto di gradini. Piano, piano, andava 
    più piano di tutti. Ben presto la superò un gruppo di giovani e in mezzo a 
    loro ce n’era uno che suonava la fisarmonica. -Coraggio, nonnetta- la 
    salutarono. -Non è il coraggio che 
    manca,- rispose, fermandosi a guardarli. –Andate, andate, belli di mamma 
    vostra.- Ma quelli erano già 
    arrivati in fondo alla valle, come un’allegra valanga. Un vecchio che fumava 
    la pipa sotto il portico di casa la chiamò: -Ce la farete ancora? 
    E’ lunga la strada.- -Ce la farò, ce la 
    farò. Sarò l’ultima, ma alla mia età non è vergogna.- La vecchina sospirò ma 
    seguitò a camminare. Non aveva tempo da perdere. E giù, e giù per sentieri e 
    scale, e su, e su per scale e sentieri. Doveva passare ancora due montagne 
    prima di giungere alla pianura. Poi bisognava attraversare la pianura e 
    ricominciare a salire per un bel tratto, dentro e fuori dai paesi aggrappati 
    alla strada. Ora c’era sempre più 
    gente, per i sentieri, e dalle case ne usciva dell’altra. Donne dai balconi 
    gridavano: -Aspettatemi!- Dalle finestre aperte 
    la vita delle case si rovesciava fuori con luci, suoni e colori. La vecchina 
    vide una ragazza che toglieva dal baule uno scialle prezioso. -Ecco,- mormorò con un 
    pochino d’invidia, -lo scialle della dote. Io non porto che questi pomodori 
    seccati. Com’è triste esser poveri, qualche volta, quando non si possono 
    fare bei regali.- Passò accanto a una 
    casupola delle più meschine. Fuori dell’uscio una donna lavava dei panni in 
    un mastello. -Che fate?- borbottò la 
    vecchina. –Il bucato la notte di Natale?- La donna alzò gli occhi 
    dal suo lavoro. Erano rossi e gonfi. -Mio marito è malato, 
    bisogna che guadagni io qualcosa.- -Non sentite che i 
    vostri bambini piangono?- -Li sento sì. Vogliono 
    andare con gli altri alla grotta. Ma io non ho tempo di vestirli, ecco 
    perché piangono.- -Siete proprio come un 
    pulcino nella stoppa, non sapete cavarvela,- borbottò la vecchina. Entrò in casa, diede 
    un’occhiata al malato e gli cambiò l’acqua nella caraffa, poi vestì i 
    bambini, con gesti ruvidi e precisi, senza cessare di rimproverarli 
    meccanicamente. Quelli non badavano ai rimproveri: sentivano le sue mani 
    buone e svelte, si lasciarono vestire in fretta, si lasciarono strofinare la 
    faccia con un asciugamano bagnato, ma quando furono pronti schizzarono via 
    con uno strido acuto, come rondini. -Ti fanno perdere 
    tempo, ma mica ti dicono grazie,- borbottò la vecchina riprendendo il 
    cammino. Ora poi cominciava a sentire appetito. Avrebbe chiesto volentieri 
    qualcosa alla pastora che filava, con un gatto in grembo; alle donne che 
    recavano in equilibrio sul capo grandi ceste colme di verdura, di ciambelle 
    fatte in casa, di frutti profumati. Ma era troppo orgogliosa per farlo. Per 
    fortuna un contadino che zappava e la vide ansare, già un poco vacillante, 
    spiccò un arancio da un ramo a glielo offrì. -Bravo,- gli disse la 
    vecchina, -pare che vi abbiano messo qui apposta per questo. Avevo giusto 
    sete.- Disse “sete”, non 
    “fame”, perché non le piaceva far sapere agli altri le sue cose, e non 
    voleva essere compatita. -Ma vi pare la notte 
    adatta per starvene a zappettare?- Domandò poi. –Voi che avete le gambe 
    buone…- .Avrò presto finito. 
    Coglierò un cesto di arance e mi avvierò. Volete scommettere che vi 
    raggiungo prima del paese?- In paese la bottega del 
    fornaio era aperta, la bocca del forno rossa di fuoco, e il pane fresco 
    profumava la notte. La vecchina guardò da 
    un’altra parte. Prigioniera del suo 
    seggiolone, una pupetta grassa, rosea e lacrimosa strillava a più non posso, 
    tuffando una mano rabbiosa nel piatto di spaghetti che le stava davanti. -E tu che hai?- domandò 
    la vecchina. –Non ti piace la pappa? Su, su, che è buona.- Ma la bambina non si 
    chetava, e non voleva mangiare. Finalmente la vecchina scoprì che le era 
    caduta per terra una bambola di stracci: gliela raccolse e la bambina 
    sorrise. -Su,- disse la 
    vecchina, arrotolando uno spaghetto intorno alla forchetta, -mangia. Ah, am. 
    Quant’è buono… e la tua mamma? Le tue sorelle? Tutte a vedere il corteo dei 
    Magi, scommetto. E te, ti lasciano qui sola come un’orfanella. Mangia con la 
    nonnina, su. Ecco, brava, brava.- La bambina, mangiando, 
    farfugliava il suo linguaggio di sillabe sperdute, di mugolii ed 
    esclamazioni senza significato: -Baaa… beee… gniooo… Uhhh!- La vecchina cominciò 
    anche a parlare a quel modo, e intanto i minuti passavano, e passava la 
    gente, sorridendo. Passò uno zampognaro, seguito da un codazzo di ragazzi. 
    Passò quel contadino di prima, col suo cestello di arance. Solo quando il 
    piatto fu vuoto la vecchina si riscosse, si guardò intorno, si rialzò. -Piccerella mia, 
    bisogna che me ne vada, altrimenti non arriverò in tempo. Vedi laggiù quel 
    chiarore? E’ la cometa che sta per spuntare.- -Biaooo… booo,- rispose 
    la pupa. _Stai buona, sì? Presto 
    tornerà la tua mamma.- Ora la folla era un 
    fiume variopinto e chiassoso, risuonava di grida, di pifferi, di nacchere, e 
    la vecchina era quasi al centro del presepio, e la luce della stella saliva 
    in cielo come un incendio di buon augurio, e per un po’ la vecchina fu presa 
    a braccetto da un gruppo di ragazze che cantavano e camminavano a passo di 
    danza, e questo le fece mancare il respiro. Dovette proprio sedersi un 
    momento a riposare, sulla panca di un’osteria campestre, ma non accettò il 
    bicchier di vino che l’oste le offriva, per paura che le mettesse il 
    capogiro, bevve solo un po’ d’acqua. La gente passava. Era 
    passata. Appena qualche ritardatario allungava il passo. Ecco, più nessuno. -Arriverò ultima anche 
    quest’anno,- sospirò la vecchina, -e di lontano vedrò ben poco, si sa. Le 
    mie povere gambe mi fanno male come se me le avessero battute.- Si fece coraggio, a 
    passi sempre più brevi e incerti, e ogni tre passi doveva fermarsi un attimo 
    perché il cuore si calmasse. I rumori e le luci della gran festa erano come 
    una nuvola che si allontana. Le pause di silenzio erano sempre più lunghe e 
    distese. In uno di quei silenzi udì (di nuovo, ancora!) il pianto di un 
    bambino. -Povero piccolo,- 
    mormorò la vecchina, -in una notte come questa, davvero non ci dovrebbe 
    essere al mondo un solo bambino che piange. No, no: in tutto il mondo non 
    dovrebbe piangere nessuno. Ma tu dove sei, piccolo povero fantolino? Dove 
    sei, bello di mamma tua?- Il pianto veniva da una 
    capanna posta a pochi metri dalla strada. C’era una siepe, intorno, ma così 
    cadente che la vecchina non abbe difficoltà ad attraversarla. La capanna era tutta 
    buia, il pianto veniva di là. -Eccomi, eccomi,- 
    sussurrava la vecchina -eccomi, sono qui.- Entrò nella capanna e 
    proprio in quel momento, per fortuna, la cometa superò l’ultima montagna e 
    illuminò tutto il cielo e, al chiarore che penetrava dalla porta, la 
    vecchina vide il pagliericcio, la giovane donna che vi stava stesa con gli 
    occhi chiusi, come svenuta, e il piccolo tutto nudo che le giaceva accanto e 
    piangeva. -Ma tu hai freddo, ecco 
    che cos’hai,- esclamò la vecchina con la sua voce più dolce. E sempre parlando tra 
    sé la vecchina si muoveva per la capanna, trovava le povere fasce preparate 
    per il neonato e lo avvolgeva. A un tratto “grazie” 
    sentì dire con un filo di respiro. Si voltò e vide che la giovane madre era 
    tornata in sé. Era troppo debole per muoversi e per parlare, me i suoi occhi 
    riconoscenti dicevano tante cose. -Brava, brava,- disse 
    la vecchina. E intanto accendeva il fuoco, metteva un po’ di acqua a 
    bollire, e il fuoco rischiarava la capanna come una piccola, capricciosa 
    cometa che giocava con le ombre. E poi venne l’alba, 
    piano piano, prima grigia, poi bianca e dorata. La madre e il bambino 
    dormivano. La vecchina dormiva su una sedia, col mento sulla mano. E quando 
    si svegliò era tornato il padre, e la notte di Natale era passata, e la 
    vecchina non era arrivata fino alla grotta, perché tutti quei bambini le 
    avevano fatto perdere tempo, ma era contenta e serena, anche se non aveva 
    visto i Re Magi, gli angeli e lontano lontano, sopra un mare di teste, la 
    grotta. Così lasciò quei 
    pomodori seccati sul tavolo e si mise sulla via del ritorno, passo dopo 
    l’altro, nel silenzio del grande presepio addormentato, su su, in cima ai 
    sentieri, ai tetti, alle scale, alle scalinatelle, fino a casa sua, che era 
    la più vicina alle stelle.   |  
    | DUE SIMPATICHE STORIELLE: Una famiglia aveva due gemelli che si 
    rassomigliavano solo per il loro aspetto fisico. Se uno pensava che fosse 
    troppo caldo, l'altro pensava che fosse troppo freddo. Se uno pensava che il 
    volume della TV era troppo alto, l'altro sosteneva che il volume doveva 
    essere alzato. Opposti in ogni modo: uno era un ottimista eterno, l'altro un 
    castigo di pessimismo e tristezza. A Natale, solo per vedere cosa sarebbe 
    successo, il padre pensò di riempire la stanza del pessimista con tutti i 
    giocattoli che si possano immaginare, mentre riempì la stanza dell'ottimista 
    con sterco di cavallo. Quella notte il padre passò dalla camera 
    del pessimista e lo trovò seduto tra i suoi doni a piangere amaramente. "Perchè 
    piangi?" chiese il padre. "Perchè i miei amici saranno gelosi, dovrò leggere 
    tutte le istruzioni prima che io possa fare qualcosa con questa roba, avrò 
    un continuo bisogno di batterie e i miei giocattoli finiranno per rompersi" 
    rispose il gemello pessimista. Passando nella camera del gemello 
    ottimista lo trovò che saltava di gioia nel mucchio di letame. "Perchè sei 
    così felice?" gli chiese, ed il suo gemello ottimista rispose: "Ci deve 
    essere un pony, qui da qualche parte!"   C'era un uomo che lavorava per 
    l'ufficio Postale, il suo compito era quello di controllare la posta che 
    aveva degli indirizzi illeggibili. Un giorno arrivò una lettera 
    indirizzata, in una grafia tremolante, a Dio senza un indirizzo effettivo. 
    Lui pensò che dovesse aprirla per vedere di cosa si trattava. La lettera diceva:
 ”Caro Dio,
 Sono una vedova di 83 anni, che vive 
    con una pensione molto piccola. Ieri qualcuno ha rubato la mia borsa. Avevo 
    100 dollari, che erano tutti i soldi che avevo fino al prossimo pagamento 
    della mia pensione. Domenica prossima è Natale, ed avevo invitato due miei 
    amici a cena. senza quei soldi non ho nulla per comprare il cibo, non ho una 
    famiglia a cui rivolgermi e tu sei la mia unica speranza. mi puoi aiutare?Cordiali saluti, Edna”
 L’uomo rimase toccato dalla lettera, 
    la mostrò a tutti gli altri lavoratori. Ognuno scavò nel suo portafoglio e 
    si avvicinò con un paio di dollari. Con il tempo riuscirono a raccogliere 96 
    dollari, che misero in una busta ed inviarono alla donna. Per il resto della 
    giornata, tutti i lavoratori sentirono un caldo pensiero per Edna e per la 
    cena che sarebbe stata in grado di condividere con i suoi amici. Natale arrivò e se ne andò. Pochi giorni dopo arrivò un'altra lettera della 
    stessa signora per Dio. Tutti i lavoratori si riunirono intorno, mentre la 
    lettera fu aperta.
 Si leggeva:
 ”Caro Dio,
 Come potrò mai ringraziarti 
    abbastanza per quello che hai fatto per me? Grazie al tuo dono d'amore, sono 
    stata in grado di preparare una cena gloriosa per i miei amici. Abbiamo 
    avuto una giornata molto bella e ho detto loro del tuo meraviglioso dono.
    Però c'erano 4 dollari mancanti. Penso che possano essere stati quei 
    bastardi dell'Ufficio Postale.
 Cordiali saluti, Edna”
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    LA FELICITA' DI COSTRUIRE UN PRESEPIO 
    Quando mia figlia aveva l'età di tre anni, 
    pensai che per il Natale era ora di fare un vero presepio in casa nostra. 
    Dato che possedevo solo la Sacra Famiglia 
    acquistai diverse statuine, la capanna, tante pecorelle ed animaletti da 
    cortile, casette, impianto di lucine..., insomma tutto l'occorrente per fare 
    una cosa come si deve. 
    Nel nostro appartamento avevamo un caminetto, 
    ma non si poteva utilizzare essendo solo un ornamento, perciò lo scelsi per 
    sistemarci la Natività. 
    Piene di entusiasmo, io e la bambina, ci 
    mettemmo al lavoro, mi accorsi però che fare un bel presepio non è davvero 
    facile, così non lasciavo granchè da fare a mia figlia e non accettavo come 
    disponeva i personaggi, per questo la vidi avvilita e senza più interesse. 
    L'indomani corsi subito ai ripari: comperai 
    doppioni delle statuine e di tutto il resto, poi lo consegnai alla piccola 
    mettendo a sua disposizione il piano di uno scaffale che avevamo in un'altra 
    stanza. 
    Lei, tutta beata, si mise subito al lavoro 
    contenta di essere sola e di poter disporre i vari elementi a suo 
    piacimento. 
    Quando ritenne di aver terminato mi prese per 
    mano e mi portò a vedere il suo “capolavoro” e, data la tenera età, mi 
    meravigliò molto per la precisione con cui aveva usato il tutto, compresi i 
    sassolini ed il muschio finto, perciò la lodai ma le feci anche 
    un'osservazione: mi ero accorta che la bambina aveva usato alcuni piccoli 
    animali di un suo gioco, 
    disponendo davanti alla capanna del Bambinello un leone, una tigre, un 
    elefante ed un lupo insieme alle pecorelle, quindi le dissi che essendo 
    animali feroci non andavano bene, ma la sua decisa risposta fu: “No, no, 
    anche loro vanno da Gesù come tutti!”, sentendo ciò rimasi zitta a 
    riflettere. 
    Quel Presepio fu per lei l'inizio di una 
    lunga serie di Natività, che si andarono sempre più abbellendo e che tutt'ora 
    continuano e continueranno sempre con lo stesso slancio.   Anna 
    Diecidue |  
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    | IL PELLEROSSA NEL PRESEPIO  Il pellerossa con le piume in testa e con l’ascia di guerra in pugno stretta,  com’è finito tra le statuine del presepe, pastori e pecorine, e l’asinello, e i maghi sul cammello, e le stelle ben disposte, e la vecchina delle caldarroste? Non è il tuo posto, via! Toro Seduto: torna presto di dove sei venuto. Ma l’indiano non sente. O fa l’indiano. Se lo lasciamo, dite, fa lo stesso? O darà noia agli angeli di gesso? Forse è venuto fin qua, ha fatto tanto viaggio, perché ha sentito il messaggio: pace agli uomini di buona volontà. Gianni Rodari     | LA STELLA    Persero la stella un giorno…    I due re bianchi tracciarono al suolo    due cerchi, col bastone.    Si misero a calcolare,    si grattarono il mento,    ma la stella era svanita…    E quegli uomini, la cui anima    aveva sete di essere guidata,    piansero nel silenzio della sera.      Ma il povero re nero,    lasciato in disparte, disse tra sé:    “Pensiamo anche alla sete    che non è la nostra. Bisogna    dar da bere, lo stesso, agli animali”.    E mentre sosteneva il secchio    per l’ansa, nello specchio di cielo    in cui bevevano i cammelli    egli vide la stella d’oro    che danzava in silenzio. Edmond Rostand   |  
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    | TRADIZIONI 
    NATALIZIE DAL MONDO: RICERCHE DEGLI ALUNNI DELLA 
    CLASSE V° A DELLA SCUOLA PRIMARIA "DON MILANI" DI BERGAMO (A. S. 2008/2009) |  
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    LA 
    STORIA DI BABBO NATALE Babbo 
    Natale, è un vecchio signore, grasso e rubicondo, che vive al Polo Nord. I 
    suoi aiutanti sono piccoli folletti del bosco e il suo mezzo di trasporto 
    una slitta trainata da renne. Quello che, forse, non tutti sanno è che Babbo 
    Natale è esistito veramente. Si 
    dice, che un certo San Nicola divenne, dopo la sua morte, dispensatore di 
    abbondanza per le famiglie povere… Secondo alcuni, il vescovo era entrato in 
    possesso di un oggetto magico, il Graal, grazie al quale aveva raggiunto la 
    facoltà di produrre abbondanza. Da quel momento, Nicola divenne il 
    dispensatore di doni, soprattutto per i bambini poveri e buoni. A 
    testimonianza di ciò, il fatto che nei Paesi anglosassoni Babbo Natale è 
    chiamato Santa Claus, che tradotto significa San Nicola.  |  
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    IL CEPPO 
    NATALIZIO Dalla 
    festa del “Sol Invictus” (Sole invincibile) proviene l’usanza di bruciare un 
    ceppo a Natale. Il ceppo doveva essere di quercia e doveva bruciare per 12 
    giorni: da come era bruciato o dalle scintille si prediceva il futuro. Le 
    ceneri venivano conservate e usate come rimedi contro malattie e calamità.  |  
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    LE 
    STRENNE NATALIZIE Le 
    strenne o regali di natale  sono nati nell’antica Roma, fu Tito Tazio che 
    iniziò a regalare rametti di una pianta propizia(arbor felix = albero  
    felice),  raccolti in un boschetto sulla via sacra. Col tempo si chiamarono 
    strenae dal nome della dea della fortuna e felicità Strenia.                               
     
    Anticamente i Romani regalavano rami d’albero alle Calende di Gennaio come 
    augurio di abbondanza, questi rami dovevano essere raccolti nel bosco 
    dedicato alla dea Strenia. |  
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    IL 
    PUNGITOPO E L’AGRIFOGLIO Si 
    utilizzano rametti di pungitopo ed agrifoglio per decorare la casa perché 
    anticamente si credeva che le foglie, appuntite come armi, avessero il 
    potere di scacciare gli spiriti maligni.       Ancora oggi si tiene 
    volentieri in casa un rametto di queste piante perché, essendo dei 
    sempreverdi, sono una promessa di vita perenne, inoltre le loro bacche rosse 
    esprimono gioia ed esultanza. |  
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    IL  
    PANETTONE 
    Un pò di tempo fa un povero garzone 
    di nome Toni, la vigilia di Natale era stanchissimo e la schiena  gli 
    doleva, ma la sua giornata non era terminata. 
    Si accinse ad impastare l’ennesimo 
    blocco di pasta di pane, intanto preparò all’estremità della  lunga asse le 
    uova, l’uvetta e lo zucchero per la torta natalizia del padrone e dei suoi 
    invitati. 
    Quanto a lui avrebbe trascorso un 
    triste Natale accanto alla madre malata. 
    Mentre tagliava le  forme, per un 
    movimento brusco fece rovesciare il barattolo dello zucchero. 
    Nel tentativo di salvarlo schiacciò 
    le uova e ritrovò la pasta di pane intrisa di zucchero, uova e  uvetta.
     
    Non gli rimase che impastare il 
    tutto con le lacrime di disperazione che gli cadevano sulle  grosse forme 
    che tagliò e mise a cuocere.   
    Quando le grosse pagnotte profumate 
    e soffici, uscirono dal forno,”il pan de Toni” come lo chiamò subito il 
    padrone furbo, gli fecero fare affari d’oro, l’indomani quando furono 
    vendute nel paese.  
    Questa è la leggenda, la storia 
    ufficiale racconta che il panettone apparve nel castello degli Sforza, alla 
    corte di Ludovico il Moro, nel Natale del 1495. 
    Si teneva quel giorno un banchetto 
    per celebrare il nuovo potere conferito al duca da un decreto  reale 
    dell’imperatore Massimiliano, alla fine del banchetto venne portato il 
    “panis cum acinis uvectus”: il  nome indica che è confezionato con acini di 
    uva. 
    Questo pane piacque molto al duca, 
    così che ogni anno venivano invitati gli amici per augurargli un  felice 
    natale e anno nuovo e gli veniva offerto il panettone. |  
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    I 
    BIGLIETTINI AUGURALI 
    Questa è una tradizione 
    occidentale, i primi bigliettini furono stampati nel 1843 in Inghilterra. 
    Un gentiluomo nel 1843 aveva 
    scritto sulle pagine del suo diario: Mr. Horsley mi ha consegnato i 
    biglietti natalizi.  
    Cole fece stampare 1000 biglietti, 
    li fece colorare a mano e li mise in vendita. 
    I biglietti piacquero molto, così 
    l’idea si diffuse. 
    I biglietti natalizi riproducevano 
    scenette invernali, con paesaggi ammantati di neve e i bambini intenti nei 
    loro giochi, addormentati nei lettini o seduti accanto all’albero pieno di 
    doni. 
    A quell’epoca, in Inghilterra, il 
    portalettere si distingueva per la sua divisa rossa: da quando incominciò a 
    portare i biglietti natalizi venne chiamato postino pettirosso perché il 
    portalettere si fermava solo 1 minuto nelle case, come fa il pettirosso per 
    il tempo necessario a beccare qualche briciola prima di riprendere volo. |  
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    LA 
    LEGGENDA DELL’ALBERO DI NATALE 
    L’albero  di natale è il simbolo 
    più conosciuto del natale. 
    Data la rigidità degli inverni la 
    popolazione dei Teutoni (tedeschi) usava, durante il solstizio invernale, 
    piantare un grosso abete arricchito con ghirlande e bruciare un enorme ceppo 
    nel camino per festeggiare il passaggio dall’autunno all’inverno. 
     
    L’albero di natale deriva dai culti 
    solari celebrati nelle foreste nordiche d’Europa: l’albero è considerato una 
    cattedrale dalle culture animiste più antiche che ancora oggi sono diffuse 
    nel mondo. 
    Chi ha viaggiato nell’India del 
    nord, nell’Asia centrale, in Cina, in Tibet, in Siberia avrà notato che 
    alcuni alberi, in genere antichi, sono oggetto di culto. 
    Il più antico albero di natale 
    finora rivenuto appartiene alla civiltà Mesopotamica (è considerato tale 
    poiché a Babilonia festeggiavano il dio sole Samash proprio il 25 dicembre). 
    I Babilonesi usavano decorare 
    l’albero con i frutti. 
    L’albero è presente in tutte le 
    religioni arabe; c’è poi l’albero cosmico della mitologia Germanica. Celti, 
    Sassoni, Normanni portavano alberi in casa per tenere lontani gli spiriti 
    cattivi, gli Egiziani  portavano le palme e i Romani gli abeti.  
    Come segno di venerazione verso gli 
    alberi consacrati, appendevano mele ed  altri frutti come offerta alle 
    divinità, per ringraziare la terra della sua generosità, in segno di buon 
    auspicio per i raccolti futuri i contadini appendevano alcuni frutti ai 
    rami. 
    Gli antichi Germani appendevano 
    anche pietre ai rami della quercia, per far tornare gli spiriti fuggiti con 
    la caduta delle foglie. 
    In seguito arricchirono gli alberi 
    con frutti colorati, ghirlande e candeline per abbellire un pò di più  
    l’albero.  
    Questa usanza la troviamo a 
    Strasburgo, in Germania, già nel 1539, ma solo nel 1800 diventò un’usanza 
    diffusa, così tutti i fabbricanti Germanici e Svizzeri ebbero l’idea di 
    cominciare a produrre ninnoli di vetro soffiato.  
    Nel 1840 la duchessa d’Orleans, 
    imitando l’ambasciatore Asburgico, fece addobbare un albero nel giardino 
    delle Tuileries e la moda si espanse tra tutte le corti d’Europa. 
     
    Gli Americani ebbero anche l’idea 
    di aggiungere all’albero delle lampadine.  
    Poche persone sanno che la 
    tradizione di addobbare l’abete è nata nell’antico Egitto: qui si 
    costruivano delle piramidi di legno, giganteschi monumenti come simbolo di 
    culto e propiziatorio, alla piramide era sovrapposta la ruota solare e più 
    tardi furono infilati, su quella figura geometrica, bastoncini che venivano 
    incendiati, se il fuoco raggiungeva la piramide stessa l’anno sarebbe stato 
    sereno ed anche fortunatissimo. 
    Dalla terra dei faraoni un 
    viaggiatore portò quest’idea in Europa, i Russi la adottarono per celebrare 
    il solstizio d’inverno. 
    Attorno all’albero di natale sono 
    poi nate tante leggende fantasiose.      |  
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    IL 
    PRESEPIO       
     
    Presepio deriva dalla parola latina 
    praesepium, ossia “recinto chiuso”. 
    I primi a descrivere il natale 
    furono gli evangelisti Luca e Matteo che narrarono la nascita di Gesù in una 
    mangiatoia. 
    Al presepe col tempo si aggiunsero 
    altri personaggi: il bue e l’asino, i pastori carichi di doni da offrire al 
    bambinello, la stella cometa, i magi… La mangiatoia diventò la grotta. 
    Il primo presepe fu creato nella 
    chiesa di S. Maria Maggiore (a Roma). 
    Questa usanza divenne popolare: 
    ogni chiesa creava un presepe particolare.  
    Le scene della nascita di Gesù 
    erano decorate con oro, argento, gioielli e pietre preziose. 
    Il primo presepe vivente fu creato 
    da S. Francesco D’Assisi, che nel 1224 decise di rappresentare la nascita di 
    Gesù così come era successo. 
    S. Francesco creò nel paese di 
    Greccio (RI) il vero presepe, fatto con figure intagliate e animali veri. 
    Il messaggio era inviato a tutti: 
    ricchi e poveri. 
    Il presepe di S. Francesco lo 
    conosce tutto il mondo. 
    In Francia si chiama crèche, in 
    Germania krippe, in Spagna e in America Latina nascimento, in Brasile si 
    dice pesebre e in Costa Rica portal. 
    In Italia la costruzione del 
    presepio è una tradizione molto antica; esso viene realizzato con materiali, 
    modalità e stili molto diversi a seconda delle varie regioni: abbiamo 
    statuine in carta, legno, gesso, terracotta, cartapesta, manichini con abiti 
    in stoffa; le scenografie sono realizzate in sughero, gesso, legno… 
    Famosi in tutto il mondo sono 
    soprattutto i presepi napoletani in stile ‘700, con statue vestite di ricchi 
    abiti e fantasiose scenografie in sughero.  |  
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    NATALE 
    IN AFRICA 
    In molti Paesi africani vi sono 
    diverse culture religiose, questo fa sì che si celebrino tutte le principali 
    feste delle religioni presenti. Così per Natale le famiglie si riuniscono 
    attorno agli anziani e tutti, senza far distinzioni tra le diverse 
    religioni, sono invitati alla festa della Vigilia: in quella sera viene 
    lasciata aperta la porta della casa, per far sì che chiunque si senta il 
    benvenuto. 
    Il giorno della vigilia si 
    scambiano cibi e vestiti (i vestiti ai bambini).  
    Il 23 dicembre le ragazze vanno in 
    ogni casa a ballare con il sottofondo di tamburi, prima consegnano dei 
    biglietti in cui specificano il giorno in cui si esibiranno. Fanno delle 
    danze diverse o dei canti in varie lingue in base a dove si trovano. 
     
    Dopo il 25 dicembre ci sono degli 
    uomini che si esibiscono lungo le strade, con i volti coperti da grosse 
    maschere dall’aspetto umano o mostruose che spaventano i bambini; le stesse 
    maschere compaiono anche il resto dell’anno, nei funerali o in altri momenti 
    critici. Queste maschere quando vengono fabbricate hanno un rituale che si 
    tramanda di generazione in generazione. Si diceva che chi scolpiva la 
    maschera la doveva poi indossare, l’idea forse è dovuta alla convinzione che 
    il legno avesse il potere di captare l’uomo ed unirlo al mondo vegetale così 
    solo chi l’aveva costruita poteva avere un dialogo speciale con essa. Le 
    maschere si usano fino alla fine dell’anno, ma alle prime luci si fermano le 
    danze, le città sembrano deserte.   
    Il presepe è presente solo da poco 
    tempo, mentre l’albero si è diffuso con i primi missionari europei. Le 
    decorazioni  che usano di più sono dei ramoscelli di palma intrecciati a 
    forma d’arco. Poi vengono decorati con dei fiori che i bambini vanno a 
    raccogliere.  
    La sera della vigilia eseguono 
    canti cristiani in inglese, la notte viene passata in compagnia fino al 
    mattino; per il pranzo si deve uccidere un animale che deve essere un 
    agnello, una capra, una pecora o un pollo. Nel loro pasto non possono 
    mancare carne cucinata in umido, il riso bianco e i cibi che appartengono 
    alle tradizioni familiari.                         |  
    |  NATALE 
    IN ASIA Tutte le 
    Civiltà festeggiano il Natale (cioè la nascita) delle proprie divinità. Molto spesso 
    in queste festività ci sono delle riunioni a cui partecipa tutta la 
    famiglia. In molte di 
    queste ci sono dei pasti che preparano le donne di tutto il vicinato. 
     La festa più 
    importante dei Cinesi è il Capodanno, che si festeggia intorno al 28/1 del 
    nostro calendario. Si festeggia per una settimana e ci sono dei fuochi, 
    degli scambi di doni e dei riti a cui partecipano soprattutto i bambini, che 
    mettono sotto il cuscino un sacchettino rosso, a cui affidano i loro buoni 
    propositi per il nuovo anno.  Il dio della 
    cucina e del focolare ha un posto di assoluta importanza e non vi è casa in 
    cui, sopra il camino, non vi sia una sua immagine. Alla fine dell’anno la 
    sacra immagine, ormai annerita dal fumo degli incensi, viene bruciata; con 
    questo atto si segna il momento in cui il dio sale in cielo, al cospetto 
    della divinità suprema, per fare il resoconto circa vizi e virtù di tutti i 
    membri della famiglia. Allo scopo di conquistarne l’indulgenza, gli si 
    rivolgono offerte alimentari.  Anche in 
    Giappone si attende il Capodanno per stare insieme. Al contrario di quanto 
    accade in Occidente, gli ultimi giorni dell’anno si dedicano alla famiglia. 
    Il Capodanno è festa sia civile che religiosa. Qui la ricorrenza è 
    anticipata di circa un mese ( rispetto alla Cina), così da farla coincidere 
    con la fine dell’ anno solare. L’ ultima notte di dicembre è d’uso recarsi 
    al tempio (la tradizione riguarda sia la religione Buddhista che quella 
    Scintoista), dove, a turno, si batte una grossa barra metallica posta in una 
    struttura all’interno del giardino sacro.  La casa viene 
    addobbata con festoni e decorazioni di bambù e rami di pino che servono a 
    tenere lontani gli spiriti maligni; esse vengono disposte davanti alla porta 
    d’ingresso, sui 2 lati. Al mattino del 
    primo dell’anno si indossa il kimono più bello per recarsi di nuovo al 
    tempio, dove si lanciano dei soldi in un’arca di legno e si prega Dio perché 
    conceda un nuovo anno ricco di felicità.  |    |