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LE NOSTRE STORIE, I
PENSIERI, LE POESIE... VERRANNO PERIODICAMENTE INTEGRATE O SOSTITUITE
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LA VECCHINA DEL PRESEPIO (Gianni Rodari)
La vecchina abitava da
anni (duecento? trecento?) sulla montagna più alta del presepio. Il presepio
era quello che sta a Roma, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tra
le rovine dei Fori Imperiali ed è uno dei più belli del mondo, con montagne,
burroni, castelli, villaggi, palazzi, ponti, ovili, osterie, negozi, e
migliaia di finestre aperte e dentro si vede la gente vivere. Ma la gente
vive per lo più nelle strade, come a Napoli: centinaia e centinaia di
figurine che vivono, comprano e vendono pesci, prosciutti, fichi secchi,
castagne, caciotte. E scale, scalette, scalinatelle: tutto un labirinto
festoso su cui scendono gli angeli a grappoli dal soffitto, e un lungo
corteo di mori, cammelli, cavalli accompagna i Re Magi, e bambini accorrono
incuriositi, ragazze ballano la tarantella per far onore agli ospiti, si
mesce il vino, si drizzano tende ricche come regge.
Sulla collina più alta,
nella casa più povera del villaggio, abitava la vecchina, e anche lei, la
notte di Natale, si annodò in testa il fazzoletto più bello, preparò un
fagottello di pomodori seccati al sole da portare in dono, e si incamminò a
piccoli vecchi passi giù per un sentiero ripido, rotto ogni tanto da un
mazzetto di gradini.
Piano, piano, andava
più piano di tutti. Ben presto la superò un gruppo di giovani e in mezzo a
loro ce n’era uno che suonava la fisarmonica.
-Coraggio, nonnetta- la
salutarono.
-Non è il coraggio che
manca,- rispose, fermandosi a guardarli. –Andate, andate, belli di mamma
vostra.-
Ma quelli erano già
arrivati in fondo alla valle, come un’allegra valanga. Un vecchio che fumava
la pipa sotto il portico di casa la chiamò:
-Ce la farete ancora?
E’ lunga la strada.-
-Ce la farò, ce la
farò. Sarò l’ultima, ma alla mia età non è vergogna.-
La vecchina sospirò ma
seguitò a camminare. Non aveva tempo da perdere. E giù, e giù per sentieri e
scale, e su, e su per scale e sentieri. Doveva passare ancora due montagne
prima di giungere alla pianura. Poi bisognava attraversare la pianura e
ricominciare a salire per un bel tratto, dentro e fuori dai paesi aggrappati
alla strada.
Ora c’era sempre più
gente, per i sentieri, e dalle case ne usciva dell’altra. Donne dai balconi
gridavano: -Aspettatemi!-
Dalle finestre aperte
la vita delle case si rovesciava fuori con luci, suoni e colori. La vecchina
vide una ragazza che toglieva dal baule uno scialle prezioso.
-Ecco,- mormorò con un
pochino d’invidia, -lo scialle della dote. Io non porto che questi pomodori
seccati. Com’è triste esser poveri, qualche volta, quando non si possono
fare bei regali.-
Passò accanto a una
casupola delle più meschine. Fuori dell’uscio una donna lavava dei panni in
un mastello.
-Che fate?- borbottò la
vecchina. –Il bucato la notte di Natale?-
La donna alzò gli occhi
dal suo lavoro. Erano rossi e gonfi.
-Mio marito è malato,
bisogna che guadagni io qualcosa.-
-Non sentite che i
vostri bambini piangono?-
-Li sento sì. Vogliono
andare con gli altri alla grotta. Ma io non ho tempo di vestirli, ecco
perché piangono.-
-Siete proprio come un
pulcino nella stoppa, non sapete cavarvela,- borbottò la vecchina.
Entrò in casa, diede
un’occhiata al malato e gli cambiò l’acqua nella caraffa, poi vestì i
bambini, con gesti ruvidi e precisi, senza cessare di rimproverarli
meccanicamente. Quelli non badavano ai rimproveri: sentivano le sue mani
buone e svelte, si lasciarono vestire in fretta, si lasciarono strofinare la
faccia con un asciugamano bagnato, ma quando furono pronti schizzarono via
con uno strido acuto, come rondini.
-Ti fanno perdere
tempo, ma mica ti dicono grazie,- borbottò la vecchina riprendendo il
cammino. Ora poi cominciava a sentire appetito. Avrebbe chiesto volentieri
qualcosa alla pastora che filava, con un gatto in grembo; alle donne che
recavano in equilibrio sul capo grandi ceste colme di verdura, di ciambelle
fatte in casa, di frutti profumati. Ma era troppo orgogliosa per farlo. Per
fortuna un contadino che zappava e la vide ansare, già un poco vacillante,
spiccò un arancio da un ramo a glielo offrì.
-Bravo,- gli disse la
vecchina, -pare che vi abbiano messo qui apposta per questo. Avevo giusto
sete.-
Disse “sete”, non
“fame”, perché non le piaceva far sapere agli altri le sue cose, e non
voleva essere compatita.
-Ma vi pare la notte
adatta per starvene a zappettare?- Domandò poi. –Voi che avete le gambe
buone…-
.Avrò presto finito.
Coglierò un cesto di arance e mi avvierò. Volete scommettere che vi
raggiungo prima del paese?-
In paese la bottega del
fornaio era aperta, la bocca del forno rossa di fuoco, e il pane fresco
profumava la notte.
La vecchina guardò da
un’altra parte.
Prigioniera del suo
seggiolone, una pupetta grassa, rosea e lacrimosa strillava a più non posso,
tuffando una mano rabbiosa nel piatto di spaghetti che le stava davanti.
-E tu che hai?- domandò
la vecchina. –Non ti piace la pappa? Su, su, che è buona.-
Ma la bambina non si
chetava, e non voleva mangiare. Finalmente la vecchina scoprì che le era
caduta per terra una bambola di stracci: gliela raccolse e la bambina
sorrise.
-Su,- disse la
vecchina, arrotolando uno spaghetto intorno alla forchetta, -mangia. Ah, am.
Quant’è buono… e la tua mamma? Le tue sorelle? Tutte a vedere il corteo dei
Magi, scommetto. E te, ti lasciano qui sola come un’orfanella. Mangia con la
nonnina, su. Ecco, brava, brava.-
La bambina, mangiando,
farfugliava il suo linguaggio di sillabe sperdute, di mugolii ed
esclamazioni senza significato: -Baaa… beee… gniooo… Uhhh!-
La vecchina cominciò
anche a parlare a quel modo, e intanto i minuti passavano, e passava la
gente, sorridendo. Passò uno zampognaro, seguito da un codazzo di ragazzi.
Passò quel contadino di prima, col suo cestello di arance. Solo quando il
piatto fu vuoto la vecchina si riscosse, si guardò intorno, si rialzò.
-Piccerella mia,
bisogna che me ne vada, altrimenti non arriverò in tempo. Vedi laggiù quel
chiarore? E’ la cometa che sta per spuntare.-
-Biaooo… booo,- rispose
la pupa.
_Stai buona, sì? Presto
tornerà la tua mamma.-
Ora la folla era un
fiume variopinto e chiassoso, risuonava di grida, di pifferi, di nacchere, e
la vecchina era quasi al centro del presepio, e la luce della stella saliva
in cielo come un incendio di buon augurio, e per un po’ la vecchina fu presa
a braccetto da un gruppo di ragazze che cantavano e camminavano a passo di
danza, e questo le fece mancare il respiro. Dovette proprio sedersi un
momento a riposare, sulla panca di un’osteria campestre, ma non accettò il
bicchier di vino che l’oste le offriva, per paura che le mettesse il
capogiro, bevve solo un po’ d’acqua.
La gente passava. Era
passata. Appena qualche ritardatario allungava il passo. Ecco, più nessuno.
-Arriverò ultima anche
quest’anno,- sospirò la vecchina, -e di lontano vedrò ben poco, si sa. Le
mie povere gambe mi fanno male come se me le avessero battute.-
Si fece coraggio, a
passi sempre più brevi e incerti, e ogni tre passi doveva fermarsi un attimo
perché il cuore si calmasse. I rumori e le luci della gran festa erano come
una nuvola che si allontana. Le pause di silenzio erano sempre più lunghe e
distese. In uno di quei silenzi udì (di nuovo, ancora!) il pianto di un
bambino.
-Povero piccolo,-
mormorò la vecchina, -in una notte come questa, davvero non ci dovrebbe
essere al mondo un solo bambino che piange. No, no: in tutto il mondo non
dovrebbe piangere nessuno. Ma tu dove sei, piccolo povero fantolino? Dove
sei, bello di mamma tua?-
Il pianto veniva da una
capanna posta a pochi metri dalla strada. C’era una siepe, intorno, ma così
cadente che la vecchina non abbe difficoltà ad attraversarla.
La capanna era tutta
buia, il pianto veniva di là.
-Eccomi, eccomi,-
sussurrava la vecchina -eccomi, sono qui.-
Entrò nella capanna e
proprio in quel momento, per fortuna, la cometa superò l’ultima montagna e
illuminò tutto il cielo e, al chiarore che penetrava dalla porta, la
vecchina vide il pagliericcio, la giovane donna che vi stava stesa con gli
occhi chiusi, come svenuta, e il piccolo tutto nudo che le giaceva accanto e
piangeva.
-Ma tu hai freddo, ecco
che cos’hai,- esclamò la vecchina con la sua voce più dolce.
E sempre parlando tra
sé la vecchina si muoveva per la capanna, trovava le povere fasce preparate
per il neonato e lo avvolgeva.
A un tratto “grazie”
sentì dire con un filo di respiro. Si voltò e vide che la giovane madre era
tornata in sé. Era troppo debole per muoversi e per parlare, me i suoi occhi
riconoscenti dicevano tante cose.
-Brava, brava,- disse
la vecchina. E intanto accendeva il fuoco, metteva un po’ di acqua a
bollire, e il fuoco rischiarava la capanna come una piccola, capricciosa
cometa che giocava con le ombre.
E poi venne l’alba,
piano piano, prima grigia, poi bianca e dorata. La madre e il bambino
dormivano. La vecchina dormiva su una sedia, col mento sulla mano. E quando
si svegliò era tornato il padre, e la notte di Natale era passata, e la
vecchina non era arrivata fino alla grotta, perché tutti quei bambini le
avevano fatto perdere tempo, ma era contenta e serena, anche se non aveva
visto i Re Magi, gli angeli e lontano lontano, sopra un mare di teste, la
grotta.
Così lasciò quei
pomodori seccati sul tavolo e si mise sulla via del ritorno, passo dopo
l’altro, nel silenzio del grande presepio addormentato, su su, in cima ai
sentieri, ai tetti, alle scale, alle scalinatelle, fino a casa sua, che era
la più vicina alle stelle.
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DUE SIMPATICHE STORIELLE:
Una famiglia aveva due gemelli che si
rassomigliavano solo per il loro aspetto fisico. Se uno pensava che fosse
troppo caldo, l'altro pensava che fosse troppo freddo. Se uno pensava che il
volume della TV era troppo alto, l'altro sosteneva che il volume doveva
essere alzato. Opposti in ogni modo: uno era un ottimista eterno, l'altro un
castigo di pessimismo e tristezza.
A Natale, solo per vedere cosa sarebbe
successo, il padre pensò di riempire la stanza del pessimista con tutti i
giocattoli che si possano immaginare, mentre riempì la stanza dell'ottimista
con sterco di cavallo.
Quella notte il padre passò dalla camera
del pessimista e lo trovò seduto tra i suoi doni a piangere amaramente. "Perchè
piangi?" chiese il padre. "Perchè i miei amici saranno gelosi, dovrò leggere
tutte le istruzioni prima che io possa fare qualcosa con questa roba, avrò
un continuo bisogno di batterie e i miei giocattoli finiranno per rompersi"
rispose il gemello pessimista.
Passando nella camera del gemello
ottimista lo trovò che saltava di gioia nel mucchio di letame. "Perchè sei
così felice?" gli chiese, ed il suo gemello ottimista rispose: "Ci deve
essere un pony, qui da qualche parte!"
C'era un uomo che lavorava per
l'ufficio Postale, il suo compito era quello di controllare la posta che
aveva degli indirizzi illeggibili.
Un giorno arrivò una lettera
indirizzata, in una grafia tremolante, a Dio senza un indirizzo effettivo.
Lui pensò che dovesse aprirla per vedere di cosa si trattava.
La lettera diceva:
”Caro Dio,
Sono una vedova di 83 anni, che vive
con una pensione molto piccola. Ieri qualcuno ha rubato la mia borsa. Avevo
100 dollari, che erano tutti i soldi che avevo fino al prossimo pagamento
della mia pensione. Domenica prossima è Natale, ed avevo invitato due miei
amici a cena. senza quei soldi non ho nulla per comprare il cibo, non ho una
famiglia a cui rivolgermi e tu sei la mia unica speranza. mi puoi aiutare?
Cordiali saluti, Edna”
L’uomo rimase toccato dalla lettera,
la mostrò a tutti gli altri lavoratori. Ognuno scavò nel suo portafoglio e
si avvicinò con un paio di dollari. Con il tempo riuscirono a raccogliere 96
dollari, che misero in una busta ed inviarono alla donna. Per il resto della
giornata, tutti i lavoratori sentirono un caldo pensiero per Edna e per la
cena che sarebbe stata in grado di condividere con i suoi amici.
Natale arrivò e se ne andò. Pochi giorni dopo arrivò un'altra lettera della
stessa signora per Dio. Tutti i lavoratori si riunirono intorno, mentre la
lettera fu aperta.
Si leggeva:
”Caro Dio,
Come potrò mai ringraziarti
abbastanza per quello che hai fatto per me? Grazie al tuo dono d'amore, sono
stata in grado di preparare una cena gloriosa per i miei amici. Abbiamo
avuto una giornata molto bella e ho detto loro del tuo meraviglioso dono.
Però c'erano 4 dollari mancanti. Penso che possano essere stati quei
bastardi dell'Ufficio Postale.
Cordiali saluti, Edna”
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LA FELICITA' DI COSTRUIRE UN PRESEPIO
Quando mia figlia aveva l'età di tre anni,
pensai che per il Natale era ora di fare un vero presepio in casa nostra.
Dato che possedevo solo la Sacra Famiglia
acquistai diverse statuine, la capanna, tante pecorelle ed animaletti da
cortile, casette, impianto di lucine..., insomma tutto l'occorrente per fare
una cosa come si deve.
Nel nostro appartamento avevamo un caminetto,
ma non si poteva utilizzare essendo solo un ornamento, perciò lo scelsi per
sistemarci la Natività.
Piene di entusiasmo, io e la bambina, ci
mettemmo al lavoro, mi accorsi però che fare un bel presepio non è davvero
facile, così non lasciavo granchè da fare a mia figlia e non accettavo come
disponeva i personaggi, per questo la vidi avvilita e senza più interesse.
L'indomani corsi subito ai ripari: comperai
doppioni delle statuine e di tutto il resto, poi lo consegnai alla piccola
mettendo a sua disposizione il piano di uno scaffale che avevamo in un'altra
stanza.
Lei, tutta beata, si mise subito al lavoro
contenta di essere sola e di poter disporre i vari elementi a suo
piacimento.
Quando ritenne di aver terminato mi prese per
mano e mi portò a vedere il suo “capolavoro” e, data la tenera età, mi
meravigliò molto per la precisione con cui aveva usato il tutto, compresi i
sassolini ed il muschio finto, perciò la lodai ma le feci anche
un'osservazione: mi ero accorta che la bambina aveva usato alcuni piccoli
animali di un suo gioco,
disponendo davanti alla capanna del Bambinello un leone, una tigre, un
elefante ed un lupo insieme alle pecorelle, quindi le dissi che essendo
animali feroci non andavano bene, ma la sua decisa risposta fu: “No, no,
anche loro vanno da Gesù come tutti!”, sentendo ciò rimasi zitta a
riflettere.
Quel Presepio fu per lei l'inizio di una
lunga serie di Natività, che si andarono sempre più abbellendo e che tutt'ora
continuano e continueranno sempre con lo stesso slancio.
Anna
Diecidue |
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IL PELLEROSSA NEL PRESEPIO
Il pellerossa con le piume in testa
e con l’ascia di guerra in pugno stretta,
com’è finito tra le statuine
del presepe, pastori e pecorine,
e l’asinello, e i maghi sul cammello,
e le stelle ben disposte,
e la vecchina delle caldarroste?
Non è il tuo posto, via! Toro Seduto:
torna presto di dove sei venuto.
Ma l’indiano non sente. O fa l’indiano.
Se lo lasciamo, dite, fa lo stesso?
O darà noia agli angeli di gesso?
Forse è venuto fin qua,
ha fatto tanto viaggio,
perché ha sentito il messaggio:
pace agli uomini di buona volontà.
Gianni Rodari
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LA STELLA
Persero la stella un giorno…
I due re bianchi tracciarono al suolo
due cerchi, col bastone.
Si misero a calcolare,
si grattarono il mento,
ma la stella era svanita…
E quegli uomini, la cui anima
aveva sete di essere guidata,
piansero nel silenzio della sera.
Ma il povero re nero,
lasciato in disparte, disse tra sé:
“Pensiamo anche alla sete
che non è la nostra. Bisogna
dar da bere, lo stesso, agli animali”.
E mentre sosteneva il secchio
per l’ansa, nello specchio di cielo
in cui bevevano i cammelli
egli vide la stella d’oro
che danzava in silenzio.
Edmond Rostand
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TRADIZIONI
NATALIZIE DAL MONDO:
RICERCHE DEGLI ALUNNI DELLA
CLASSE V° A DELLA SCUOLA PRIMARIA "DON MILANI" DI BERGAMO (A. S. 2008/2009) |
LA
STORIA DI BABBO NATALE
Babbo
Natale, è un vecchio signore, grasso e rubicondo, che vive al Polo Nord. I
suoi aiutanti sono piccoli folletti del bosco e il suo mezzo di trasporto
una slitta trainata da renne. Quello che, forse, non tutti sanno è che Babbo
Natale è esistito veramente.
Si
dice, che un certo San Nicola divenne, dopo la sua morte, dispensatore di
abbondanza per le famiglie povere… Secondo alcuni, il vescovo era entrato in
possesso di un oggetto magico, il Graal, grazie al quale aveva raggiunto la
facoltà di produrre abbondanza. Da quel momento, Nicola divenne il
dispensatore di doni, soprattutto per i bambini poveri e buoni. A
testimonianza di ciò, il fatto che nei Paesi anglosassoni Babbo Natale è
chiamato Santa Claus, che tradotto significa San Nicola. |
IL CEPPO
NATALIZIO
Dalla
festa del “Sol Invictus” (Sole invincibile) proviene l’usanza di bruciare un
ceppo a Natale. Il ceppo doveva essere di quercia e doveva bruciare per 12
giorni: da come era bruciato o dalle scintille si prediceva il futuro. Le
ceneri venivano conservate e usate come rimedi contro malattie e calamità. |
LE
STRENNE NATALIZIE
Le
strenne o regali di natale sono nati nell’antica Roma, fu Tito Tazio che
iniziò a regalare rametti di una pianta propizia(arbor felix = albero
felice), raccolti in un boschetto sulla via sacra. Col tempo si chiamarono
strenae dal nome della dea della fortuna e felicità Strenia.
Anticamente i Romani regalavano rami d’albero alle Calende di Gennaio come
augurio di abbondanza, questi rami dovevano essere raccolti nel bosco
dedicato alla dea Strenia. |
IL
PUNGITOPO E L’AGRIFOGLIO
Si
utilizzano rametti di pungitopo ed agrifoglio per decorare la casa perché
anticamente si credeva che le foglie, appuntite come armi, avessero il
potere di scacciare gli spiriti maligni. Ancora oggi si tiene
volentieri in casa un rametto di queste piante perché, essendo dei
sempreverdi, sono una promessa di vita perenne, inoltre le loro bacche rosse
esprimono gioia ed esultanza. |
IL
PANETTONE
Un pò di tempo fa un povero garzone
di nome Toni, la vigilia di Natale era stanchissimo e la schiena gli
doleva, ma la sua giornata non era terminata.
Si accinse ad impastare l’ennesimo
blocco di pasta di pane, intanto preparò all’estremità della lunga asse le
uova, l’uvetta e lo zucchero per la torta natalizia del padrone e dei suoi
invitati.
Quanto a lui avrebbe trascorso un
triste Natale accanto alla madre malata.
Mentre tagliava le forme, per un
movimento brusco fece rovesciare il barattolo dello zucchero.
Nel tentativo di salvarlo schiacciò
le uova e ritrovò la pasta di pane intrisa di zucchero, uova e uvetta.
Non gli rimase che impastare il
tutto con le lacrime di disperazione che gli cadevano sulle grosse forme
che tagliò e mise a cuocere.
Quando le grosse pagnotte profumate
e soffici, uscirono dal forno,”il pan de Toni” come lo chiamò subito il
padrone furbo, gli fecero fare affari d’oro, l’indomani quando furono
vendute nel paese.
Questa è la leggenda, la storia
ufficiale racconta che il panettone apparve nel castello degli Sforza, alla
corte di Ludovico il Moro, nel Natale del 1495.
Si teneva quel giorno un banchetto
per celebrare il nuovo potere conferito al duca da un decreto reale
dell’imperatore Massimiliano, alla fine del banchetto venne portato il
“panis cum acinis uvectus”: il nome indica che è confezionato con acini di
uva.
Questo pane piacque molto al duca,
così che ogni anno venivano invitati gli amici per augurargli un felice
natale e anno nuovo e gli veniva offerto il panettone. |
I
BIGLIETTINI AUGURALI
Questa è una tradizione
occidentale, i primi bigliettini furono stampati nel 1843 in Inghilterra.
Un gentiluomo nel 1843 aveva
scritto sulle pagine del suo diario: Mr. Horsley mi ha consegnato i
biglietti natalizi.
Cole fece stampare 1000 biglietti,
li fece colorare a mano e li mise in vendita.
I biglietti piacquero molto, così
l’idea si diffuse.
I biglietti natalizi riproducevano
scenette invernali, con paesaggi ammantati di neve e i bambini intenti nei
loro giochi, addormentati nei lettini o seduti accanto all’albero pieno di
doni.
A quell’epoca, in Inghilterra, il
portalettere si distingueva per la sua divisa rossa: da quando incominciò a
portare i biglietti natalizi venne chiamato postino pettirosso perché il
portalettere si fermava solo 1 minuto nelle case, come fa il pettirosso per
il tempo necessario a beccare qualche briciola prima di riprendere volo. |
LA
LEGGENDA DELL’ALBERO DI NATALE
L’albero di natale è il simbolo
più conosciuto del natale.
Data la rigidità degli inverni la
popolazione dei Teutoni (tedeschi) usava, durante il solstizio invernale,
piantare un grosso abete arricchito con ghirlande e bruciare un enorme ceppo
nel camino per festeggiare il passaggio dall’autunno all’inverno.
L’albero di natale deriva dai culti
solari celebrati nelle foreste nordiche d’Europa: l’albero è considerato una
cattedrale dalle culture animiste più antiche che ancora oggi sono diffuse
nel mondo.
Chi ha viaggiato nell’India del
nord, nell’Asia centrale, in Cina, in Tibet, in Siberia avrà notato che
alcuni alberi, in genere antichi, sono oggetto di culto.
Il più antico albero di natale
finora rivenuto appartiene alla civiltà Mesopotamica (è considerato tale
poiché a Babilonia festeggiavano il dio sole Samash proprio il 25 dicembre).
I Babilonesi usavano decorare
l’albero con i frutti.
L’albero è presente in tutte le
religioni arabe; c’è poi l’albero cosmico della mitologia Germanica. Celti,
Sassoni, Normanni portavano alberi in casa per tenere lontani gli spiriti
cattivi, gli Egiziani portavano le palme e i Romani gli abeti.
Come segno di venerazione verso gli
alberi consacrati, appendevano mele ed altri frutti come offerta alle
divinità, per ringraziare la terra della sua generosità, in segno di buon
auspicio per i raccolti futuri i contadini appendevano alcuni frutti ai
rami.
Gli antichi Germani appendevano
anche pietre ai rami della quercia, per far tornare gli spiriti fuggiti con
la caduta delle foglie.
In seguito arricchirono gli alberi
con frutti colorati, ghirlande e candeline per abbellire un pò di più
l’albero.
Questa usanza la troviamo a
Strasburgo, in Germania, già nel 1539, ma solo nel 1800 diventò un’usanza
diffusa, così tutti i fabbricanti Germanici e Svizzeri ebbero l’idea di
cominciare a produrre ninnoli di vetro soffiato.
Nel 1840 la duchessa d’Orleans,
imitando l’ambasciatore Asburgico, fece addobbare un albero nel giardino
delle Tuileries e la moda si espanse tra tutte le corti d’Europa.
Gli Americani ebbero anche l’idea
di aggiungere all’albero delle lampadine.
Poche persone sanno che la
tradizione di addobbare l’abete è nata nell’antico Egitto: qui si
costruivano delle piramidi di legno, giganteschi monumenti come simbolo di
culto e propiziatorio, alla piramide era sovrapposta la ruota solare e più
tardi furono infilati, su quella figura geometrica, bastoncini che venivano
incendiati, se il fuoco raggiungeva la piramide stessa l’anno sarebbe stato
sereno ed anche fortunatissimo.
Dalla terra dei faraoni un
viaggiatore portò quest’idea in Europa, i Russi la adottarono per celebrare
il solstizio d’inverno.
Attorno all’albero di natale sono
poi nate tante leggende fantasiose. |
IL
PRESEPIO
Presepio deriva dalla parola latina
praesepium, ossia “recinto chiuso”.
I primi a descrivere il natale
furono gli evangelisti Luca e Matteo che narrarono la nascita di Gesù in una
mangiatoia.
Al presepe col tempo si aggiunsero
altri personaggi: il bue e l’asino, i pastori carichi di doni da offrire al
bambinello, la stella cometa, i magi… La mangiatoia diventò la grotta.
Il primo presepe fu creato nella
chiesa di S. Maria Maggiore (a Roma).
Questa usanza divenne popolare:
ogni chiesa creava un presepe particolare.
Le scene della nascita di Gesù
erano decorate con oro, argento, gioielli e pietre preziose.
Il primo presepe vivente fu creato
da S. Francesco D’Assisi, che nel 1224 decise di rappresentare la nascita di
Gesù così come era successo.
S. Francesco creò nel paese di
Greccio (RI) il vero presepe, fatto con figure intagliate e animali veri.
Il messaggio era inviato a tutti:
ricchi e poveri.
Il presepe di S. Francesco lo
conosce tutto il mondo.
In Francia si chiama crèche, in
Germania krippe, in Spagna e in America Latina nascimento, in Brasile si
dice pesebre e in Costa Rica portal.
In Italia la costruzione del
presepio è una tradizione molto antica; esso viene realizzato con materiali,
modalità e stili molto diversi a seconda delle varie regioni: abbiamo
statuine in carta, legno, gesso, terracotta, cartapesta, manichini con abiti
in stoffa; le scenografie sono realizzate in sughero, gesso, legno…
Famosi in tutto il mondo sono
soprattutto i presepi napoletani in stile ‘700, con statue vestite di ricchi
abiti e fantasiose scenografie in sughero. |
NATALE
IN AFRICA
In molti Paesi africani vi sono
diverse culture religiose, questo fa sì che si celebrino tutte le principali
feste delle religioni presenti. Così per Natale le famiglie si riuniscono
attorno agli anziani e tutti, senza far distinzioni tra le diverse
religioni, sono invitati alla festa della Vigilia: in quella sera viene
lasciata aperta la porta della casa, per far sì che chiunque si senta il
benvenuto.
Il giorno della vigilia si
scambiano cibi e vestiti (i vestiti ai bambini).
Il 23 dicembre le ragazze vanno in
ogni casa a ballare con il sottofondo di tamburi, prima consegnano dei
biglietti in cui specificano il giorno in cui si esibiranno. Fanno delle
danze diverse o dei canti in varie lingue in base a dove si trovano.
Dopo il 25 dicembre ci sono degli
uomini che si esibiscono lungo le strade, con i volti coperti da grosse
maschere dall’aspetto umano o mostruose che spaventano i bambini; le stesse
maschere compaiono anche il resto dell’anno, nei funerali o in altri momenti
critici. Queste maschere quando vengono fabbricate hanno un rituale che si
tramanda di generazione in generazione. Si diceva che chi scolpiva la
maschera la doveva poi indossare, l’idea forse è dovuta alla convinzione che
il legno avesse il potere di captare l’uomo ed unirlo al mondo vegetale così
solo chi l’aveva costruita poteva avere un dialogo speciale con essa. Le
maschere si usano fino alla fine dell’anno, ma alle prime luci si fermano le
danze, le città sembrano deserte.
Il presepe è presente solo da poco
tempo, mentre l’albero si è diffuso con i primi missionari europei. Le
decorazioni che usano di più sono dei ramoscelli di palma intrecciati a
forma d’arco. Poi vengono decorati con dei fiori che i bambini vanno a
raccogliere.
La sera della vigilia eseguono
canti cristiani in inglese, la notte viene passata in compagnia fino al
mattino; per il pranzo si deve uccidere un animale che deve essere un
agnello, una capra, una pecora o un pollo. Nel loro pasto non possono
mancare carne cucinata in umido, il riso bianco e i cibi che appartengono
alle tradizioni familiari. |
NATALE
IN ASIA
Tutte le
Civiltà festeggiano il Natale (cioè la nascita) delle proprie divinità.
Molto spesso
in queste festività ci sono delle riunioni a cui partecipa tutta la
famiglia.
In molte di
queste ci sono dei pasti che preparano le donne di tutto il vicinato.
La festa più
importante dei Cinesi è il Capodanno, che si festeggia intorno al 28/1 del
nostro calendario. Si festeggia per una settimana e ci sono dei fuochi,
degli scambi di doni e dei riti a cui partecipano soprattutto i bambini, che
mettono sotto il cuscino un sacchettino rosso, a cui affidano i loro buoni
propositi per il nuovo anno.
Il dio della
cucina e del focolare ha un posto di assoluta importanza e non vi è casa in
cui, sopra il camino, non vi sia una sua immagine. Alla fine dell’anno la
sacra immagine, ormai annerita dal fumo degli incensi, viene bruciata; con
questo atto si segna il momento in cui il dio sale in cielo, al cospetto
della divinità suprema, per fare il resoconto circa vizi e virtù di tutti i
membri della famiglia. Allo scopo di conquistarne l’indulgenza, gli si
rivolgono offerte alimentari.
Anche in
Giappone si attende il Capodanno per stare insieme. Al contrario di quanto
accade in Occidente, gli ultimi giorni dell’anno si dedicano alla famiglia.
Il Capodanno è festa sia civile che religiosa. Qui la ricorrenza è
anticipata di circa un mese ( rispetto alla Cina), così da farla coincidere
con la fine dell’ anno solare. L’ ultima notte di dicembre è d’uso recarsi
al tempio (la tradizione riguarda sia la religione Buddhista che quella
Scintoista), dove, a turno, si batte una grossa barra metallica posta in una
struttura all’interno del giardino sacro.
La casa viene
addobbata con festoni e decorazioni di bambù e rami di pino che servono a
tenere lontani gli spiriti maligni; esse vengono disposte davanti alla porta
d’ingresso, sui 2 lati.
Al mattino del
primo dell’anno si indossa il kimono più bello per recarsi di nuovo al
tempio, dove si lanciano dei soldi in un’arca di legno e si prega Dio perché
conceda un nuovo anno ricco di felicità. |
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