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Il presepio napoletanoSogno Napoletano
 Presepio Napoletano 2015
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    Il Presepio 
    Napoletano |  
    | In questa pagina potrete leggere testi che ci 
    spiegano alcuni dei molteplici aspetti dei Presepi Napoletani. Qui sotto 
    trovate inoltre i collegamenti per visitare le pagine in cui mostriamo i 
    presepi in stile napoletano da noi realizzati.  |  
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    IL PRESEPIO NAPOLETANO A PONTE SAN 
    PIETRO (BG) | IL 
    PRESEPIO NAPOLETANO NEL MUSEO DI OBERSTADION (GERMANIA) | SOGNO NAPOLETANO 2014
     | PRESEPIO NAPOLETANO 2015 |  
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    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ CENNI STORICI 
    SULL'ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL PRESEPIO NAPOLETANO 
    Il presepe 
    napoletano classico è una rappresentazione della nascita di Gesù ambientata 
    tradizionalmente nella Napoli del Settecento. 
    L'arte 
    presepiale napoletana si è mantenuta fino ad oggi inalterata per secoli, 
    divenendo parte delle tradizioni natalizie più consolidate e seguite della 
    città. Numerosi sono i musei cittadini e non (come il Museo di San Martino o 
    la reggia di Caserta) nei quali sono esposti storici pezzi o intere scene 
    ambientati durante la nascita di Gesù. 
    Il primo 
    presepio a Napoli viene menzionato in un documento che parla di una Natività 
    nella Chiesa di S. Maria del presepe nel 1025. Ad Amalfi, secondo varie 
    fonti, già nel 1324 esisteva una "cappella del presepe in casa Alagni". 
    Nel 1340 la 
    regina Sancia d’Aragona (moglie di Roberto d'Angiò) regalò alle suore 
    Clarisse un presepe per la loro nuova chiesa, di cui oggi è rimasta la 
    statua della Madonna nel museo di San Martino. 
    Nel XV secolo si 
    hanno i primi veri e propri scultori di figure.  
    ·       Tra 
    questi sono da menzionare in particolare i fratelli Giovanni e Pietro 
    Alemanno che nel 1470 crearono le sculture lignee per la rappresentazione 
    della Natività. 
    ·       Nel 1507 
    l’artista Pietro Belverte scolpì a Napoli 28 statue per i frati della Chiesa 
    di San Domenico Maggiore. Per la prima volta il presepio fu ambientato in 
    una grotta di pietre vere, forse venute dalla Palestina, ed arricchito con 
    una taverna. 
    ·       Nel 1532 
    si registrarono delle novità: Domenico Impicciati fu probabilmente il primo 
    a realizzare delle statuine in terracotta ad uso privato. Uno dei 
    personaggi, altra novità, prese le sembianze del committente, il nobile di 
    Sorrento, Matteo Mastrogiudice della corte aragonese.  
    ·       Nel 1534 
    arrivò a Napoli San Gaetano da Thiene che aveva già dato prova di grande 
    amore per il presepio nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma. L'abilità 
    di Gaetano accrebbe la popolarità del presepio e particolarmente apprezzato 
    fu quello costruito nell'Ospedale degli Incurabili.  
    ·       Si deve 
    ai sacerdoti scolopi, nel primo ventennio del Seicento, il presepio barocco. 
    Le statuine furono sostituite da manichini snodabili di legno, rivestiti di 
    stoffe o di abiti. I primissimi manichini napoletani erano a grandezza umana 
    per poi ridursi attorno ai settanta centimetri. Il presepio più famoso fu 
    realizzato nel 1627. La Chiesa degli scolopi lo smontava ogni anno per 
    rimontarlo il Natale successivo: anche questa fu un'innovazione perché fino 
    ad allora i presepi erano fissi.  
    ·       Nel 1640 
    grazie a Michele Perrone, i manichini conservarono testa ed arti di legno, 
    ma furono realizzati con un'anima in filo di ferro rivestito di stoppa, che 
    consentì alle statue di assumere pose più plastiche.  
     Verso la fine 
    del Seicento nacque la teatralità del presepio napoletano, arricchita dalla 
    tendenza a mescolare il sacro con il profano, a rappresentare la 
    quotidianità che animava piazzette, vie e vicoli. Apparvero nel presepio 
    statue di personaggi del popolo come i nani, le donne con il gozzo, i 
    pezzenti, i tavernari, gli osti, i ciabattini, ovvero la rappresentazione 
    degli umili e dei derelitti: le persone tra le quali Gesù nasce.  
    Particolarmente 
    significativa fu l'aggiunta dei resti di templi greci e romani per 
    sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine delle colonne 
    pagane.  
    Nel Settecento 
    il presepio napoletano visse la sua stagione d'oro, uscì dalle chiese dove 
    era oggetto di devozione religiosa per entrare nelle dimore 
    dell'aristocrazia. Nobili e ricchi borghesi gareggiarono per allestire 
    impianti scenografici sempre più ricercati.  
    Giuseppe 
    Sanmartino, forse il più grande scultore napoletano del Settecento, 
    abilissimo a plasmare figure in terracotta, diede inizio ad una vera scuola 
    di artisti del presepio. Grazie a lui il presepe napoletano conquistò il 
    riconoscimento  di vera espressione artistica. 
    La scena 
    presepiale si sposta sempre più al di fuori del gruppo della sacra famiglia 
    e più laicamente s'interessa dei pastori, dei venditori ambulanti, dei re 
    Magi, dell'anatomia degli animali.  
    Durante  la 
    dominazione spagnola a Napoli si affermò una scuola presepistica che iniziò 
    a definire le regole per costruire il pastore napoletano. Il corpo, alto 
    circa trentacinque centimetri, era di stoppa con un’anima di filo di ferro, 
    le mani e i piedi di legno, gli occhi di vetro, la  testa e il collo di 
    terracotta. Re Carlo di Borbone fu un appassionato di presepi e, quando nel 
    1759 salì al trono di Spagna, portò con sé artigiani e artisti presepiali, 
    promuovendo la diffusione del presepe in tutta Europa. Anche re Ferdinando 
    di Borbone  incentivò l’arte presepiale  che diede un impulso al lavoro 
    artigianale di sarti, falegnami, orefici, fabbri, stuccatori , ramai, 
    ricamatori, armaioli. Si racconta che anche la regina e le nobildonne 
    partecipassero attivamente all’allestimento del presepio, ideando e 
    realizzando i vestiti per le varie figure; le stoffe utilizzate venivano 
    tessute appositamente nelle seterie di San Leucio di Caserta, dove si 
    riproducevano in miniatura i decori creati per le stoffe destinate agli 
    indumenti dei nobili. 
      
        | Goethe 
        così descrive il presepe italiano nel suo “Viaggio in Italia” del 
        1787:                            « Ecco il momento di accennare ad un 
        altro svago che è caratteristico dei napoletani, il Presepe <...> Si 
        costruisce un leggero palchetto a forma di capanna, tutto adorno di 
        alberi e di alberelli sempre verdi; e lì ci si mette la Madonna, il 
        Bambino Gesù e tutti i personaggi, compresi quelli che si librano in 
        aria, sontuosamente vestiti per la festa <...>. Ma ciò che conferisce a 
        tutto lo spettacolo una nota di grazia incomparabile è lo sfondo, in cui 
        s'incornicia il Vesuvio coi suoi dintorni. » |  
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    Parlando di Napoli e di Presepio non si può non ricordare la bellissima 
    opera teatrale: “Natale in casa Cupiello” scritta dal grandissimo autore, 
    regista ed attore teatrale Eduardo De Filippo. Luca, 
    il protagonista, si dedica alla costruzione del “presebbio” (presepio) che 
    per lui rappresenta la sua certezza, uno spazio alternativo alla realtà in 
    cui vive. Luca infatti chiederà in continuazione allo scettico figlio: 
    “Tommaso, ti piace il presepio?” ricevendo sempre una risposta negativa e, 
    solo trovandosi in fin di vita, avrà la soddisfazione di sentirsi rispondere 
    il sospirato "Sì". Il presepe è dunque metafora della vita. Contrappone la sua 
    serenità di cartapesta al drammatico presepe familiare vivente in cui Luca 
    si dibatte tanto che alla fine, nell’impossibilità di trovare un equilibrio 
    fra la dimensione del sogno e quella reale, si lascia morire.  |  
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    ·       
    
    
    LUCIANO DE CRESCENZO 
    (scrittore, filosofo, attore…) 
    “L’albero di Natale è bello solo quando è finito e quando si possono 
    accendere le luci, il presepe invece no, il presepe è bello quando lo fai o 
    addirittura quando lo pensi” 
    Queste sono le parole che Luciano De Crescenzo pronuncia nel suo bellissimo 
    libro e film: “Così parlò Bellavista”. De Crescenzo fa coincidere la 
    contrapposizione tra “presepisti” e “alberisti” con quella tra uomini 
    d’Amore e uomini di Libertà. I primi amano stare in compagnia e prendersela 
    comoda, mentre i secondi sono efficienti e frenetici. Leggiamo cos’altro ha 
    scritto sull’argomento: “Pare 
    che il primo Presepe lo realizzò San Francesco nel 1223. A quell’epoca, la 
    rappresentazione di un evento accaduto in Palestina oltre mille anni prima 
    non doveva essere molto diverso dall’Umbria medioevale. Oggi realizzare 
    un Presepe è invece un esercizio di fantasia ed immaginazione. Significa 
    costruire un mondo che non c’è, così come ci piace e ci piacerebbe che 
    fosse. Plasmare montagne, far nascere ruscelli, tracciare sentieri, dar vita 
    a storie ed emozioni… 
    Inoltre, al contrario dell’albero che è statico ed una volta fatto non ha 
    bisogno della nostra attenzione (che può quindi essere rivolta ad altro), 
    il Presepe è dinamico e vivo: puoi cambiare il paesaggio, spostare le 
    statuine, fare avanzare i Re Magi verso la capanna man mano che si 
    avvicina l’Epifania. Con il trascorrere dei giorni puoi fare 
    incontrare persone sconosciute, avvicinare qualche pastore… Il 
    Presepe è anche e soprattutto questo: persone estranee che smettono di 
    fare quello che stavano facendo e si mettono in cammino per convergere 
    insieme verso un unico punto che coincide con la vita che nasce. In 
    questa idea c’è un profondo senso di fratellanza e comunità che va ben oltre 
    il significato religioso del Presepe. La “parentela” che si crea nel Presepe 
    è autentica, spontanea, assolutamente pura.  Tutti 
    i protagonisti del Presepe si dirigono verso quella famiglia anche perché 
    quella famiglia è “aperta”, trasparente, accogliente, al punto da 
    travalicare il senso stesso di famiglia. Non a caso disponiamo le 
    cinque statuine più importanti del Presepe (San Giuseppe, la Madonna, 
    Gesù, il bue e l’asinello) in maniera tale da comunicare questi sentimenti. Per 
    questo, da piccolo, rimanevo ore ad ammirare il Presepe, ad immaginare le 
    storie dei personaggi che lo animano: perché lì ci sono l’incontro e non 
    la distanza, l’accoglienza e non l’invadenza, la fratellanza e non il 
    settarismo, il piacere di incontrarsi e non la sfiducia nel prossimo. E 
    volevo allora, così come voglio oggi, che nel Presepe trovassero spazio più 
    statue possibile, di tutti i colori, di tutte le razze…il mondo intero…” DAL 
    LIBRO: “COSI’ PARLO’ BELLAVISTA”: 
    “Dunque , come 
    vi dicevo, la suddivisione in presepisti ed alberisti è tanto importante 
    che, secondo me, dovrebbe comparire sui documenti d’identità come il sesso 
    ed il gruppo sanguigno. E già per forza, perché altrimenti un povero dio 
    rischierebbe di scoprire solo a matrimonio avvenuto di essersi unito con un 
    cristiano di tendenze natalizie diverse. Adesso sembra che io esageri, 
    eppure è così: l’alberista si serve per vivere di una scala di valori 
    completamente diversa da quella del presepista. Il primo tiene in gran conto 
    la Forma, il Denaro e il Potere; il secondo invece pone ai primi posti 
    l’Amore e la Poesia.» 
    «Noi qua in 
    questa casa» dice Saverio, «siamo tutti presepisti, è vero professò?» 
    «No, non tutti. 
    Mia moglie e mia figlia, ad esempio, come quasi tutte le donne, sono 
    alberiste.» 
    «Ad Assuntina 
    piace l’albero di Natale» dice sottovoce Saverio. 
    «Tra le due 
    categorie non ci può essere colloquio, uno parla e l’altro non capisce. La 
    moglie vede che il marito fa il presepe e dice: “Ma perché invece di 
    appuzzolentire tutta casa con la colla di pesce, il presepe non lo vai a 
    comprare già bello e fatto all’UPIM?”. Il marito non risponde. E già perché 
    all’UPIM si può comprare l’albero di Natale che è bello solo quando è finito 
    e quando si possono accendere le luci; il presepe invece no, il presepe è 
    bello quando lo fai o addirittura quando lo pensi: “Adesso viene Natale e 
    facciamo il presepe.” Quelli a cui piace l’albero di Natale sono solo dei 
    consumisti, il presepista invece, bravo o non bravo, diventa creatore.» 
    «I pastori» 
    continua Bellavista. «Debbono essere quelli di creta, fatti a mano, un poco 
    brutti e soprattutto nati a San Gregorio Armeno, nel cuore di Napoli, e non 
    quelli di plastica che si vendono all’UPIM, e che sembrano finti; i pastori 
    debbono essere quelli degli anni precedenti e non fa niente se sono quasi 
    tutti un poco rovinati, l’importante è che il capofamiglia li conosca per 
    nome uno per uno, e sappia raccontare per ogni pastore una bella storiella. 
    A mano a mano che i pastori escono dalla scatola, c’è la presentazione: il 
    padre presenta i pastori ai figli più piccoli, che così ogni anno, quando 
    viene Natale, li possono riconoscere e gli possono voler bene come a persone 
    di famiglia.» 
    «Papà mio,» dice 
    Luigino, «quelli un poco rovinati li riusciva sempre a mettere in maniera 
    tale che poi nessuno si accorgeva se avevano un braccio o una gamba di meno; 
    mi diceva: “Luigì, adesso papà trova una posizione strategica per questo 
    povero pastore che ha perduto una gamba”, e lo piazzava dietro a una siepe o 
    dietro a un muretto. Papà le casette le faceva con le scatole delle medicine 
    e poi dentro ci metteva la luce, e quando, durante l’anno, io mi dovevo 
    prendere una medicina, per esempio uno sciroppo che non mi piaceva, allora 
    lui prendeva lo scatolino e mi diceva: “Luigì, questa scatola ce la 
    conserviamo per quando viene Natale, che cosi ne facciamo una bella casetta 
    per il presepio, tu però, bello di papà, devi finire prima la medicina che 
    ci sta dentro, altrimenti papà la casetta come la fa?”» 
    «E poi, quando 
    veniva la mezzanotte,» continua Salvatore «ci mettevamo tutti in processione 
    e giravamo per tutta la casa cantando “Tu scendi dalle stelle”. Il più 
    piccolo della famiglia avanti con il bambino Gesù, e tutti quanti dietro con 
    una candela accesa tra le mani.» |  
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    ·      
    
    
    ROBERTO DE SIMONE 
    (musicista, compositore, regista, autore teatrale, accademico del 
    Conservatorio di Santa Cecilia) 
    
     Nel suo saggio: “Il presepe popolare napoletano”, De Simone ci accompagna 
    “dentro” un presepio, presentandoci i personaggi ed illustrandoci i luoghi 
    che lo caratterizzano, spiegandone le origini ed i significati ormai 
    dimenticati; infatti nulla è affidato al caso, ma tutto ha una sua ragione 
    all’interno del presepio napoletano.   
      
        
          | … Sarebbe 
          impensabile, oggi, pretendere di leggere compiutamente i segnali 
          correlati alla tradizione piú autentica del Natale, dal momento che 
          molti di essi appaiono degradati a sbiadito retaggio di una cultura 
          alla quale, nel lento scorrere del tempo, sì è sostituito tutto un 
          mondo di segni e valori diversi dal Natale così come era sentito e 
          vissuto una volta.Ma che cosa rappresenta per noi il presepe, che della tradizione 
          natalizia è, per cosí dire, il segno più evidente? …
 Lo stesso presepe settecentesco, al di là del suo indiscusso valore 
          storico e artistico, ridotto oggi a esibizione di mero collezionismo, 
          di ostentato benessere economico, ha perduto ogni riferimento alla sua 
          originaria espressione devozionale.
 In questa sede, pertanto, ci riferiremo esclusivamente al presepe 
          prodotto dagli artigiani napoletani, a quello che, nella sua 
          tradizionale fattura, evidenzia ancora un sentimento di autentica 
          religiosità.
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    E' necessario, a tale scopo, partire dal presupposto che la festa del Natale 
    è molto piú antica del Natale cristiano, essendo comune a diversi popoli il 
    mito solare di un divino Bambino partorito in una grotta da una Madre 
    vergine.Nel corso di due millenni il nostro Natale ha aggregato significanze e 
    rimandi, accogliendo un tessuto simbolico di notevole complessità storica e 
    religiosa che cercheremo via via di spiegare…
 
    
     … Nelle diverse strutture presepiali ricorrono elementi rappresentativi che 
    si collocano nella scenografia secondo una disposizione tradizionale.I più frequenti sono il pozzo, la fontana, il mulino, il ponte, il fiume, la 
    taverna, il  castello e la grotta.
 Il loro significato va al di là di semplici raffigurazioni paesaggistiche o 
    scenografiche.
 Si tratta, insomma, di rappresentazioni relative a credenze varie, a 
    superstizioni, a leggende e al significato stesso del Natale.
 Il POZZO è uno degli elementi più ricorrenti 
    nella tradizione perché rappresenta il collegamento tra la superficie e le 
    acque sotterranee. Ad esso si associa la Madonna.
 Alla figura del pozzo si richiamano, inoltre, molte altre credenze e 
    leggende natalizie. Una volta ci si guardava bene dall'attingere acqua dal 
    pozzo nella notte di Natale. Si credeva, infatti, che quell'acqua contenesse 
    spiriti diabolici.
 
 Le scene in cui si colloca la FONTANA, 
    egualmente ricorrenti, sono rappresentazioni magiche, relative alle acque 
    che provengono dal sottosuolo. Nelle favole popolari la fontana è luogo di 
    apparizioni fantastiche o di incontri amorosi.
 La donna alla fontana, inoltre, è attinente alla figura della Madonna che, 
    secondo varie tradizioni, avrebbe ricevuto l'Annunciazione mentre attingeva 
    acqua alla fonte.
 
 Il PONTE, altro elemento ricorrente nella 
    rappresentazione presepiale, è noto simbolo di passaggio ed è collegato alla 
    magia. Esso è perciò transito e limite che collega il mondo dei vivi a 
    quello dei defunti, è luogo di spaventosi incontri notturni che si 
    verificano in special modo nel periodo natalizio.
 
 Il significato simbolico del MULINO comporta una 
    lettura alquanto complessa. Emblematico è il segno delle ruote o delle pale 
    che girano come raffigurazione del tempo. Chiara è l'allusione al nuovo 
    anno, immaginato come una ruota che riprende a girare.
 Del mulino, poi, è significante, nel senso infero, la macina che schiaccia 
    il grano per produrre bianca farina, che, come è noto, è antica simbologia 
    della morte.
 Ma la farina può assumere anche valenza positiva, per il fatto che diventa 
    pane, alimento indispensabile al nutrimento di tutti (si ricordi che Cristo 
    è detto «Pane della vita »).
 
 Il FIUME sul presepe si rapporta alla sacralità 
    dell'acqua che scorre: segno presente in tutte le mitologie legate alla 
    morte e alla nascita divina.
 
 La TAVERNA O OSTERIA, che assomma in sé 
    una complessità di significati, riconduce, in primo luogo, ai rischi del 
    viaggiare. Infatti, anticamente, percorrendo lunghi e faticosi itinerari in 
    carrozza, a cavallo o a piedi, si era obbligati a sostare di notte presso 
    un'osteria per rifocillarsi e riposare.
 Nel repertorio narrativo ricorrono figure di albergatori malvagi che 
    avvelenano o uccidono nel sonno gli sventurati viaggiatori. L'osteria del 
    presepe allude al viaggio di Giuseppe e di Maria in cerca di un alloggio.
 Ma l'osteria vicina alla grotta della nascita esprime anche il rischio che 
    corre il Bambino divino nato tra i mostri divoranti dell'angoscia, il quale 
    sfugge miracolosamente al pericolo di essere ucciso o divorato appena nato.
 
 Nell'ambito della tradizione orale, al 
    CASTELLO si associa ad Erode ed alla strage degli innocenti.
 
 La GROTTA dove nasce il Bambino è illuminata unicamente da 
    astri splendenti che improvvisamente appaiono a rischiarare le tenebre. La 
    grotta rappresenta quel limite crepuscolare fra la luce e le tenebre, fra la 
    nascita e l'informe mondo che la precede…
 
    
    … Anche i personaggi hanno una loro precisa simbologia: 
    
    
    Contrassegnati come pastori 
    nobili sono i RE MAGI sui tre rispettivi cavalli dal colore bianco, 
    rosso o baio, e nero. Nelle favole campane tale cromatismo simboleggia il 
    cammino quotidiano del sole. I Re Magi, dunque, rappresentano il viaggio 
    notturno del sole, che termina lí dove si congiunge con la nascita del nuovo 
    Sole Bambino.
 Alla vergine Maria riconduce la figura 
    rappresentante la LAVANDAIA, personaggio caratteristico della nostra 
    tradizione presepiale. Come testimone del parto verginale di Maria, essa 
    deriva da sacre rappresentazioni medievali. Secondo la versione dei Vangeli 
    apocrifi la Madonna fu visitata, al momento del parto, da più levatrici.
 
 Simbologia pluridimensionale caratterizza la figura 
    della zingara. La ZINGARA, com'è noto, è personaggio profetico 
    collegato alle sibille profetesse che nelle sacre rappresentazioni medievali 
    assumevano ruolo primario. Alla Sibilla Cumana la tradizione attribuiva una 
    leggenda natalizia. Ella aveva predetto la nascita del Redentore.
 
    
    La ZINGARA COL BAMBINO IN BRACCIO può essere 
    correlata alla FUGA IN EGITTO di Maria che era, ella stessa, zingara in un 
    paese straniero. Il personaggio della zingara senza il bambino in braccio 
    assume un significato drammatico perché preannunzia la Passione di Cristo.
 
 Si narra di una donna vergine, chiamata STEFANIA, che, 
    quando nacque il Redentore, si incamminò verso la grotta per adorarlo, ma ne 
    fu impedita dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di visitare la 
    Madonna che aveva da poco partorito. Allora Stefania prese una pietra, 
    l'avvolse nelle fasce fingendosi madre e, ingannando gli angeli, riuscì a 
    entrare nella grotta il giorno successivo. Ma quando fu alla presenza di 
    Maria, si compí un miracoloso prodigio: la pietra starnutí e divenne un 
    bambino, santo Stefano.
 
    
    Il PESCATORE e il CACCIATORE esprimono due tipi di cultura 
    successivi alla società matriarcale: la pesca e la caccia, le piú antiche 
    attività con cui l'uomo si assicurò i mezzi di sussistenza. Le figure in 
    coppia del cacciatore e del pescatore rinviano ad arcaiche rappresentazioni 
    del ciclo morte-vita, giorno-notte, estate-inverno.
 In riferimento a quadriglie carnevalesche di arti e mestieri, 
    ritroviamo le figurine presepiali del VERDUMMARO (erbivendolo), del VINAIO, 
    del MACELLAIO, del FRUTTIVENDOLO, del VENDITORE DI CASTAGNE, del PANETTIERE, 
    dell'ARROTINO, del VENDITORE DI RICOTTA E DI FORMAGGI, del SALUMIERE, del 
    POLLIERE, del PESCIVENDOLO, del VENDITORE DI UOVA.
 Ma mettendo in relazione le loro attività lavorative col periodo dell’anno 
    in cui esse si svolgono, è possibile interpretare quei personaggi come 
    personificazioni dei Mesi.
 
    
    Degli ANGELI che fanno corona alla grotta di Gesù Bambino, quello 
    centrale, recante il cartiglio su cui si legge «Gloria in excelsis Deo», è 
    detto la gloria del Padre, quello alla sua destra, con l'incensiere tra le 
    mani, viene denominato la gloria del Figlio; infine, l'angelo detto la 
    gloria dello Spirito Santo è raffigurato in atto di suonare una tromba, e 
    simboleggia il soffio divino della terza Persona della Santissima Trinità.Ai tre angeli principali se ne possono aggiungere altri due; il primo, 
    munito di dorati piatti metallici, esprime l'osanna del re e del papa (ossia 
    del potere politico e di quello religioso); l'altro col tamburo canta 
    l'osanna del popolo. Una volta per tali figure il colore degli abiti 
    obbediva ad uno schema canonico fissato dalla tradizione. Vale a dire che 
    l'angelo centrale indossava una veste gialla o dorata; quello di sinistra 
    (il Figlio), una bianca, e quello raffigurante la gloria dello Spirito 
    Santo, una rossa. Le vesti degli altri due erano di colore azzurro o verde.
 
 E infine una figura presepiale che è in diretto 
    rapporto con gli angeli dell'annunzio: BENINO, il pastorello 
    raffigurato in atto di dormire, che, per gli interessanti significati a lui 
    connessi è personaggio di primaria importanza. Simboleggia il cammino 
    esoterico verso la grotta, il percorso attraverso il sogno, il viaggio 
    compiuto da un giovinetto, da una guida iniziatica, da un bambino.
 In base a questa raffigurazione il senso del Natale è comprensibile solo 
    mediante un viaggio onirico effettuato con la guida di un animo visionario 
    che sprofonda nel mondo interiore della conoscenza.
 Alla fine del viaggio, superate le paure e le varie tappe, tale personaggio, 
    dinanzi alla grotta della Nascita, o della ri-Nascita, può identificarsi col 
    cosiddetto PASTORE DELLA MERAVIGLIA, che, accecato dalla rivelazione, non 
    trova parole per esprimerla…”
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