Il presepio napoletano Sogno Napoletano Presepio Napoletano 2015
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Il Presepio
Napoletano |
In questa pagina potrete leggere testi che ci
spiegano alcuni dei molteplici aspetti dei Presepi Napoletani. Qui sotto
trovate inoltre i collegamenti per visitare le pagine in cui mostriamo i
presepi in stile napoletano da noi realizzati. |
IL PRESEPIO NAPOLETANO A PONTE SAN
PIETRO (BG) |
IL
PRESEPIO NAPOLETANO NEL MUSEO DI OBERSTADION (GERMANIA) |
SOGNO NAPOLETANO 2014
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PRESEPIO NAPOLETANO 2015 |
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CENNI STORICI
SULL'ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL PRESEPIO NAPOLETANO
Il presepe
napoletano classico è una rappresentazione della nascita di Gesù ambientata
tradizionalmente nella Napoli del Settecento.
L'arte
presepiale napoletana si è mantenuta fino ad oggi inalterata per secoli,
divenendo parte delle tradizioni natalizie più consolidate e seguite della
città. Numerosi sono i musei cittadini e non (come il Museo di San Martino o
la reggia di Caserta) nei quali sono esposti storici pezzi o intere scene
ambientati durante la nascita di Gesù.
Il primo
presepio a Napoli viene menzionato in un documento che parla di una Natività
nella Chiesa di S. Maria del presepe nel 1025. Ad Amalfi, secondo varie
fonti, già nel 1324 esisteva una "cappella del presepe in casa Alagni".
Nel 1340 la
regina Sancia d’Aragona (moglie di Roberto d'Angiò) regalò alle suore
Clarisse un presepe per la loro nuova chiesa, di cui oggi è rimasta la
statua della Madonna nel museo di San Martino.
Nel XV secolo si
hanno i primi veri e propri scultori di figure.
· Tra
questi sono da menzionare in particolare i fratelli Giovanni e Pietro
Alemanno che nel 1470 crearono le sculture lignee per la rappresentazione
della Natività.
· Nel 1507
l’artista Pietro Belverte scolpì a Napoli 28 statue per i frati della Chiesa
di San Domenico Maggiore. Per la prima volta il presepio fu ambientato in
una grotta di pietre vere, forse venute dalla Palestina, ed arricchito con
una taverna.
· Nel 1532
si registrarono delle novità: Domenico Impicciati fu probabilmente il primo
a realizzare delle statuine in terracotta ad uso privato. Uno dei
personaggi, altra novità, prese le sembianze del committente, il nobile di
Sorrento, Matteo Mastrogiudice della corte aragonese.
· Nel 1534
arrivò a Napoli San Gaetano da Thiene che aveva già dato prova di grande
amore per il presepio nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma. L'abilità
di Gaetano accrebbe la popolarità del presepio e particolarmente apprezzato
fu quello costruito nell'Ospedale degli Incurabili.
· Si deve
ai sacerdoti scolopi, nel primo ventennio del Seicento, il presepio barocco.
Le statuine furono sostituite da manichini snodabili di legno, rivestiti di
stoffe o di abiti. I primissimi manichini napoletani erano a grandezza umana
per poi ridursi attorno ai settanta centimetri. Il presepio più famoso fu
realizzato nel 1627. La Chiesa degli scolopi lo smontava ogni anno per
rimontarlo il Natale successivo: anche questa fu un'innovazione perché fino
ad allora i presepi erano fissi.
· Nel 1640
grazie a Michele Perrone, i manichini conservarono testa ed arti di legno,
ma furono realizzati con un'anima in filo di ferro rivestito di stoppa, che
consentì alle statue di assumere pose più plastiche.
Verso la fine
del Seicento nacque la teatralità del presepio napoletano, arricchita dalla
tendenza a mescolare il sacro con il profano, a rappresentare la
quotidianità che animava piazzette, vie e vicoli. Apparvero nel presepio
statue di personaggi del popolo come i nani, le donne con il gozzo, i
pezzenti, i tavernari, gli osti, i ciabattini, ovvero la rappresentazione
degli umili e dei derelitti: le persone tra le quali Gesù nasce.
Particolarmente
significativa fu l'aggiunta dei resti di templi greci e romani per
sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine delle colonne
pagane.
Nel Settecento
il presepio napoletano visse la sua stagione d'oro, uscì dalle chiese dove
era oggetto di devozione religiosa per entrare nelle dimore
dell'aristocrazia. Nobili e ricchi borghesi gareggiarono per allestire
impianti scenografici sempre più ricercati.
Giuseppe
Sanmartino, forse il più grande scultore napoletano del Settecento,
abilissimo a plasmare figure in terracotta, diede inizio ad una vera scuola
di artisti del presepio. Grazie a lui il presepe napoletano conquistò il
riconoscimento di vera espressione artistica.
La scena
presepiale si sposta sempre più al di fuori del gruppo della sacra famiglia
e più laicamente s'interessa dei pastori, dei venditori ambulanti, dei re
Magi, dell'anatomia degli animali.
Durante la
dominazione spagnola a Napoli si affermò una scuola presepistica che iniziò
a definire le regole per costruire il pastore napoletano. Il corpo, alto
circa trentacinque centimetri, era di stoppa con un’anima di filo di ferro,
le mani e i piedi di legno, gli occhi di vetro, la testa e il collo di
terracotta. Re Carlo di Borbone fu un appassionato di presepi e, quando nel
1759 salì al trono di Spagna, portò con sé artigiani e artisti presepiali,
promuovendo la diffusione del presepe in tutta Europa. Anche re Ferdinando
di Borbone incentivò l’arte presepiale che diede un impulso al lavoro
artigianale di sarti, falegnami, orefici, fabbri, stuccatori , ramai,
ricamatori, armaioli. Si racconta che anche la regina e le nobildonne
partecipassero attivamente all’allestimento del presepio, ideando e
realizzando i vestiti per le varie figure; le stoffe utilizzate venivano
tessute appositamente nelle seterie di San Leucio di Caserta, dove si
riproducevano in miniatura i decori creati per le stoffe destinate agli
indumenti dei nobili.
Goethe
così descrive il presepe italiano nel suo “Viaggio in Italia” del
1787: « Ecco il momento di accennare ad un
altro svago che è caratteristico dei napoletani, il Presepe <...> Si
costruisce un leggero palchetto a forma di capanna, tutto adorno di
alberi e di alberelli sempre verdi; e lì ci si mette la Madonna, il
Bambino Gesù e tutti i personaggi, compresi quelli che si librano in
aria, sontuosamente vestiti per la festa <...>. Ma ciò che conferisce a
tutto lo spettacolo una nota di grazia incomparabile è lo sfondo, in cui
s'incornicia il Vesuvio coi suoi dintorni. » |
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Parlando di Napoli e di Presepio non si può non ricordare la bellissima
opera teatrale: “Natale in casa Cupiello” scritta dal grandissimo autore,
regista ed attore teatrale Eduardo De Filippo.
Luca,
il protagonista, si dedica alla costruzione del “presebbio” (presepio) che
per lui rappresenta la sua certezza, uno spazio alternativo alla realtà in
cui vive. Luca infatti chiederà in continuazione allo scettico figlio:
“Tommaso, ti piace il presepio?” ricevendo sempre una risposta negativa e,
solo trovandosi in fin di vita, avrà la soddisfazione di sentirsi rispondere
il sospirato "Sì". Il presepe è dunque metafora della vita. Contrappone la sua
serenità di cartapesta al drammatico presepe familiare vivente in cui Luca
si dibatte tanto che alla fine, nell’impossibilità di trovare un equilibrio
fra la dimensione del sogno e quella reale, si lascia morire. |
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LUCIANO DE CRESCENZO
(scrittore, filosofo, attore…)
“L’albero di Natale è bello solo quando è finito e quando si possono
accendere le luci, il presepe invece no, il presepe è bello quando lo fai o
addirittura quando lo pensi”
Queste sono le parole che Luciano De Crescenzo pronuncia nel suo bellissimo
libro e film: “Così parlò Bellavista”. De Crescenzo fa coincidere la
contrapposizione tra “presepisti” e “alberisti” con quella tra uomini
d’Amore e uomini di Libertà. I primi amano stare in compagnia e prendersela
comoda, mentre i secondi sono efficienti e frenetici. Leggiamo cos’altro ha
scritto sull’argomento:
“Pare
che il primo Presepe lo realizzò San Francesco nel 1223. A quell’epoca, la
rappresentazione di un evento accaduto in Palestina oltre mille anni prima
non doveva essere molto diverso dall’Umbria medioevale. Oggi realizzare
un Presepe è invece un esercizio di fantasia ed immaginazione. Significa
costruire un mondo che non c’è, così come ci piace e ci piacerebbe che
fosse. Plasmare montagne, far nascere ruscelli, tracciare sentieri, dar vita
a storie ed emozioni…
Inoltre, al contrario dell’albero che è statico ed una volta fatto non ha
bisogno della nostra attenzione (che può quindi essere rivolta ad altro),
il Presepe è dinamico e vivo: puoi cambiare il paesaggio, spostare le
statuine, fare avanzare i Re Magi verso la capanna man mano che si
avvicina l’Epifania. Con il trascorrere dei giorni puoi fare
incontrare persone sconosciute, avvicinare qualche pastore…
Il
Presepe è anche e soprattutto questo: persone estranee che smettono di
fare quello che stavano facendo e si mettono in cammino per convergere
insieme verso un unico punto che coincide con la vita che nasce.
In
questa idea c’è un profondo senso di fratellanza e comunità che va ben oltre
il significato religioso del Presepe. La “parentela” che si crea nel Presepe
è autentica, spontanea, assolutamente pura.
Tutti
i protagonisti del Presepe si dirigono verso quella famiglia anche perché
quella famiglia è “aperta”, trasparente, accogliente, al punto da
travalicare il senso stesso di famiglia. Non a caso disponiamo le
cinque statuine più importanti del Presepe (San Giuseppe, la Madonna,
Gesù, il bue e l’asinello) in maniera tale da comunicare questi sentimenti.
Per
questo, da piccolo, rimanevo ore ad ammirare il Presepe, ad immaginare le
storie dei personaggi che lo animano: perché lì ci sono l’incontro e non
la distanza, l’accoglienza e non l’invadenza, la fratellanza e non il
settarismo, il piacere di incontrarsi e non la sfiducia nel prossimo. E
volevo allora, così come voglio oggi, che nel Presepe trovassero spazio più
statue possibile, di tutti i colori, di tutte le razze…il mondo intero…”
DAL
LIBRO: “COSI’ PARLO’ BELLAVISTA”:
“Dunque , come
vi dicevo, la suddivisione in presepisti ed alberisti è tanto importante
che, secondo me, dovrebbe comparire sui documenti d’identità come il sesso
ed il gruppo sanguigno. E già per forza, perché altrimenti un povero dio
rischierebbe di scoprire solo a matrimonio avvenuto di essersi unito con un
cristiano di tendenze natalizie diverse. Adesso sembra che io esageri,
eppure è così: l’alberista si serve per vivere di una scala di valori
completamente diversa da quella del presepista. Il primo tiene in gran conto
la Forma, il Denaro e il Potere; il secondo invece pone ai primi posti
l’Amore e la Poesia.»
«Noi qua in
questa casa» dice Saverio, «siamo tutti presepisti, è vero professò?»
«No, non tutti.
Mia moglie e mia figlia, ad esempio, come quasi tutte le donne, sono
alberiste.»
«Ad Assuntina
piace l’albero di Natale» dice sottovoce Saverio.
«Tra le due
categorie non ci può essere colloquio, uno parla e l’altro non capisce. La
moglie vede che il marito fa il presepe e dice: “Ma perché invece di
appuzzolentire tutta casa con la colla di pesce, il presepe non lo vai a
comprare già bello e fatto all’UPIM?”. Il marito non risponde. E già perché
all’UPIM si può comprare l’albero di Natale che è bello solo quando è finito
e quando si possono accendere le luci; il presepe invece no, il presepe è
bello quando lo fai o addirittura quando lo pensi: “Adesso viene Natale e
facciamo il presepe.” Quelli a cui piace l’albero di Natale sono solo dei
consumisti, il presepista invece, bravo o non bravo, diventa creatore.»
«I pastori»
continua Bellavista. «Debbono essere quelli di creta, fatti a mano, un poco
brutti e soprattutto nati a San Gregorio Armeno, nel cuore di Napoli, e non
quelli di plastica che si vendono all’UPIM, e che sembrano finti; i pastori
debbono essere quelli degli anni precedenti e non fa niente se sono quasi
tutti un poco rovinati, l’importante è che il capofamiglia li conosca per
nome uno per uno, e sappia raccontare per ogni pastore una bella storiella.
A mano a mano che i pastori escono dalla scatola, c’è la presentazione: il
padre presenta i pastori ai figli più piccoli, che così ogni anno, quando
viene Natale, li possono riconoscere e gli possono voler bene come a persone
di famiglia.»
«Papà mio,» dice
Luigino, «quelli un poco rovinati li riusciva sempre a mettere in maniera
tale che poi nessuno si accorgeva se avevano un braccio o una gamba di meno;
mi diceva: “Luigì, adesso papà trova una posizione strategica per questo
povero pastore che ha perduto una gamba”, e lo piazzava dietro a una siepe o
dietro a un muretto. Papà le casette le faceva con le scatole delle medicine
e poi dentro ci metteva la luce, e quando, durante l’anno, io mi dovevo
prendere una medicina, per esempio uno sciroppo che non mi piaceva, allora
lui prendeva lo scatolino e mi diceva: “Luigì, questa scatola ce la
conserviamo per quando viene Natale, che cosi ne facciamo una bella casetta
per il presepio, tu però, bello di papà, devi finire prima la medicina che
ci sta dentro, altrimenti papà la casetta come la fa?”»
«E poi, quando
veniva la mezzanotte,» continua Salvatore «ci mettevamo tutti in processione
e giravamo per tutta la casa cantando “Tu scendi dalle stelle”. Il più
piccolo della famiglia avanti con il bambino Gesù, e tutti quanti dietro con
una candela accesa tra le mani.» |
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·
ROBERTO DE SIMONE
(musicista, compositore, regista, autore teatrale, accademico del
Conservatorio di Santa Cecilia)
Nel suo saggio: “Il presepe popolare napoletano”, De Simone ci accompagna
“dentro” un presepio, presentandoci i personaggi ed illustrandoci i luoghi
che lo caratterizzano, spiegandone le origini ed i significati ormai
dimenticati; infatti nulla è affidato al caso, ma tutto ha una sua ragione
all’interno del presepio napoletano.
… Sarebbe
impensabile, oggi, pretendere di leggere compiutamente i segnali
correlati alla tradizione piú autentica del Natale, dal momento che
molti di essi appaiono degradati a sbiadito retaggio di una cultura
alla quale, nel lento scorrere del tempo, sì è sostituito tutto un
mondo di segni e valori diversi dal Natale così come era sentito e
vissuto una volta.
Ma che cosa rappresenta per noi il presepe, che della tradizione
natalizia è, per cosí dire, il segno più evidente? …
Lo stesso presepe settecentesco, al di là del suo indiscusso valore
storico e artistico, ridotto oggi a esibizione di mero collezionismo,
di ostentato benessere economico, ha perduto ogni riferimento alla sua
originaria espressione devozionale.
In questa sede, pertanto, ci riferiremo esclusivamente al presepe
prodotto dagli artigiani napoletani, a quello che, nella sua
tradizionale fattura, evidenzia ancora un sentimento di autentica
religiosità. |
E' necessario, a tale scopo, partire dal presupposto che la festa del Natale
è molto piú antica del Natale cristiano, essendo comune a diversi popoli il
mito solare di un divino Bambino partorito in una grotta da una Madre
vergine.
Nel corso di due millenni il nostro Natale ha aggregato significanze e
rimandi, accogliendo un tessuto simbolico di notevole complessità storica e
religiosa che cercheremo via via di spiegare…
… Nelle diverse strutture presepiali ricorrono elementi rappresentativi che
si collocano nella scenografia secondo una disposizione tradizionale.
I più frequenti sono il pozzo, la fontana, il mulino, il ponte, il fiume, la
taverna, il castello e la grotta.
Il loro significato va al di là di semplici raffigurazioni paesaggistiche o
scenografiche.
Si tratta, insomma, di rappresentazioni relative a credenze varie, a
superstizioni, a leggende e al significato stesso del Natale.
Il POZZO è uno degli elementi più ricorrenti
nella tradizione perché rappresenta il collegamento tra la superficie e le
acque sotterranee. Ad esso si associa la Madonna.
Alla figura del pozzo si richiamano, inoltre, molte altre credenze e
leggende natalizie. Una volta ci si guardava bene dall'attingere acqua dal
pozzo nella notte di Natale. Si credeva, infatti, che quell'acqua contenesse
spiriti diabolici.
Le scene in cui si colloca la FONTANA,
egualmente ricorrenti, sono rappresentazioni magiche, relative alle acque
che provengono dal sottosuolo. Nelle favole popolari la fontana è luogo di
apparizioni fantastiche o di incontri amorosi.
La donna alla fontana, inoltre, è attinente alla figura della Madonna che,
secondo varie tradizioni, avrebbe ricevuto l'Annunciazione mentre attingeva
acqua alla fonte.
Il PONTE, altro elemento ricorrente nella
rappresentazione presepiale, è noto simbolo di passaggio ed è collegato alla
magia. Esso è perciò transito e limite che collega il mondo dei vivi a
quello dei defunti, è luogo di spaventosi incontri notturni che si
verificano in special modo nel periodo natalizio.
Il significato simbolico del MULINO comporta una
lettura alquanto complessa. Emblematico è il segno delle ruote o delle pale
che girano come raffigurazione del tempo. Chiara è l'allusione al nuovo
anno, immaginato come una ruota che riprende a girare.
Del mulino, poi, è significante, nel senso infero, la macina che schiaccia
il grano per produrre bianca farina, che, come è noto, è antica simbologia
della morte.
Ma la farina può assumere anche valenza positiva, per il fatto che diventa
pane, alimento indispensabile al nutrimento di tutti (si ricordi che Cristo
è detto «Pane della vita »).
Il FIUME sul presepe si rapporta alla sacralità
dell'acqua che scorre: segno presente in tutte le mitologie legate alla
morte e alla nascita divina.
La TAVERNA O OSTERIA, che assomma in sé
una complessità di significati, riconduce, in primo luogo, ai rischi del
viaggiare. Infatti, anticamente, percorrendo lunghi e faticosi itinerari in
carrozza, a cavallo o a piedi, si era obbligati a sostare di notte presso
un'osteria per rifocillarsi e riposare.
Nel repertorio narrativo ricorrono figure di albergatori malvagi che
avvelenano o uccidono nel sonno gli sventurati viaggiatori. L'osteria del
presepe allude al viaggio di Giuseppe e di Maria in cerca di un alloggio.
Ma l'osteria vicina alla grotta della nascita esprime anche il rischio che
corre il Bambino divino nato tra i mostri divoranti dell'angoscia, il quale
sfugge miracolosamente al pericolo di essere ucciso o divorato appena nato.
Nell'ambito della tradizione orale, al
CASTELLO si associa ad Erode ed alla strage degli innocenti.
La GROTTA dove nasce il Bambino è illuminata unicamente da
astri splendenti che improvvisamente appaiono a rischiarare le tenebre. La
grotta rappresenta quel limite crepuscolare fra la luce e le tenebre, fra la
nascita e l'informe mondo che la precede…
… Anche i personaggi hanno una loro precisa simbologia:
Contrassegnati come pastori
nobili sono i RE MAGI sui tre rispettivi cavalli dal colore bianco,
rosso o baio, e nero. Nelle favole campane tale cromatismo simboleggia il
cammino quotidiano del sole. I Re Magi, dunque, rappresentano il viaggio
notturno del sole, che termina lí dove si congiunge con la nascita del nuovo
Sole Bambino.
Alla vergine Maria riconduce la figura
rappresentante la LAVANDAIA, personaggio caratteristico della nostra
tradizione presepiale. Come testimone del parto verginale di Maria, essa
deriva da sacre rappresentazioni medievali. Secondo la versione dei Vangeli
apocrifi la Madonna fu visitata, al momento del parto, da più levatrici.
Simbologia pluridimensionale caratterizza la figura
della zingara. La ZINGARA, com'è noto, è personaggio profetico
collegato alle sibille profetesse che nelle sacre rappresentazioni medievali
assumevano ruolo primario. Alla Sibilla Cumana la tradizione attribuiva una
leggenda natalizia. Ella aveva predetto la nascita del Redentore.
La ZINGARA COL BAMBINO IN BRACCIO può essere
correlata alla FUGA IN EGITTO di Maria che era, ella stessa, zingara in un
paese straniero.
Il personaggio della zingara senza il bambino in braccio
assume un significato drammatico perché preannunzia la Passione di Cristo.
Si narra di una donna vergine, chiamata STEFANIA, che,
quando nacque il Redentore, si incamminò verso la grotta per adorarlo, ma ne
fu impedita dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di visitare la
Madonna che aveva da poco partorito. Allora Stefania prese una pietra,
l'avvolse nelle fasce fingendosi madre e, ingannando gli angeli, riuscì a
entrare nella grotta il giorno successivo. Ma quando fu alla presenza di
Maria, si compí un miracoloso prodigio: la pietra starnutí e divenne un
bambino, santo Stefano.
Il PESCATORE e il CACCIATORE esprimono due tipi di cultura
successivi alla società matriarcale: la pesca e la caccia, le piú antiche
attività con cui l'uomo si assicurò i mezzi di sussistenza. Le figure in
coppia del cacciatore e del pescatore rinviano ad arcaiche rappresentazioni
del ciclo morte-vita, giorno-notte, estate-inverno.
In riferimento a quadriglie carnevalesche di arti e mestieri,
ritroviamo le figurine presepiali del VERDUMMARO (erbivendolo), del VINAIO,
del MACELLAIO, del FRUTTIVENDOLO, del VENDITORE DI CASTAGNE, del PANETTIERE,
dell'ARROTINO, del VENDITORE DI RICOTTA E DI FORMAGGI, del SALUMIERE, del
POLLIERE, del PESCIVENDOLO, del VENDITORE DI UOVA.
Ma mettendo in relazione le loro attività lavorative col periodo dell’anno
in cui esse si svolgono, è possibile interpretare quei personaggi come
personificazioni dei Mesi.
Degli ANGELI che fanno corona alla grotta di Gesù Bambino, quello
centrale, recante il cartiglio su cui si legge «Gloria in excelsis Deo», è
detto la gloria del Padre, quello alla sua destra, con l'incensiere tra le
mani, viene denominato la gloria del Figlio; infine, l'angelo detto la
gloria dello Spirito Santo è raffigurato in atto di suonare una tromba, e
simboleggia il soffio divino della terza Persona della Santissima Trinità.
Ai tre angeli principali se ne possono aggiungere altri due; il primo,
munito di dorati piatti metallici, esprime l'osanna del re e del papa (ossia
del potere politico e di quello religioso); l'altro col tamburo canta
l'osanna del popolo. Una volta per tali figure il colore degli abiti
obbediva ad uno schema canonico fissato dalla tradizione. Vale a dire che
l'angelo centrale indossava una veste gialla o dorata; quello di sinistra
(il Figlio), una bianca, e quello raffigurante la gloria dello Spirito
Santo, una rossa. Le vesti degli altri due erano di colore azzurro o verde.
E infine una figura presepiale che è in diretto
rapporto con gli angeli dell'annunzio: BENINO, il pastorello
raffigurato in atto di dormire, che, per gli interessanti significati a lui
connessi è personaggio di primaria importanza. Simboleggia il cammino
esoterico verso la grotta, il percorso attraverso il sogno, il viaggio
compiuto da un giovinetto, da una guida iniziatica, da un bambino.
In base a questa raffigurazione il senso del Natale è comprensibile solo
mediante un viaggio onirico effettuato con la guida di un animo visionario
che sprofonda nel mondo interiore della conoscenza.
Alla fine del viaggio, superate le paure e le varie tappe, tale personaggio,
dinanzi alla grotta della Nascita, o della ri-Nascita, può identificarsi col
cosiddetto PASTORE DELLA MERAVIGLIA, che, accecato dalla rivelazione, non
trova parole per esprimerla…” |
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